La famiglia di Roberto Calì, il devoto morto a seguito delle ferite riportate durante la processione di Sant’Agata nel febbraio del 2004, dovrà essere risarcita di 900mila euro. Il pagamento, a carico del comitato dei festeggiamenti, dell’arcidiocesi di Catania e del ministero dell’Interno, «non impedisce alla chiesa di svolgere le sue attività caritatevoli». Lo ha deciso la Corte d’appello di Catania revocando il provvedimento cautelare del presidente della stessa Corte, Alfio Scuto, che lo scorso 11 luglio aveva bloccato il risarcimento.
In quel caso Scuto motivò la decisione con «limpossibilità, nel caso di blocco del patrimonio della Chiesa e delle risorse monetarie, di assolvere alle attività caritatevoli in favore di migliaia di cittadini che giornalmente vengono assistiti». Secondo la Corte, invece, presieduta da Dorotea Quartararo, la valutazione cautelare è «assai generica», e le difficoltà dell’Arcidiocesi (su cui in particolare grava il risarcimento di 600mila euro), sono solo «ipotizzate e non provate». Inoltre i giudici sottolineano che il risarcimento «è ampiamente ridimensionato dal pagamento da parte della Reale Mutua dell’intero massimale, fissato in 520mila euro».
Calì, all’epoca 22enne e disoccupato, era rimasto ferito ai piedi della salita di Sangiuliano, nei momenti concitati della tradizionale acchianata. La folla lo calpestò fino a provocargli un’emorragia il fegato. Trasferito all’ospedale, morì il giorno dopo a causa delle lesioni e lasciando la moglie Rita Consoli e due figli piccoli. Era stato il Tribunale civile di Catania a fine maggio a quantificare in 900mila euro il risarcimento, poi congelato dalla decisione del presidente della corte d’Appello.
Per la morte di Calì, in quattro subirono un processo, ma tutte le posizioni furono archiviate ad eccezione dell’allora capo vara Alfio Rao, condannato in Cassazione a quattro mesi di carcere. Sentenza che ha portato Rao a lasciare il ruolo. A succedergli, il suo più stretto collaboratore, l’attuale capo vara Claudio Baturi.
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