Rubrica/ New York New York. La Primavera di Obama

Il 4 giugno del 2009 il Medio Oriente tremò. Quel giorno, il neo Presidente Barack Obama tenne un discorso al Cairo in cui, rigettando la dottrina di G. W. Bush che spingeva gli Stati Uniti all’intervento per il “regime change” e “imporre la democrazia”, invece esortava i popoli arabi, o meglio di religione islamica, a prendersi loro stessi carico della sfida democratica per governare il proprio destino.

Cosí parlò Obama al Cairo: “America does not presume to know what is best for everyone, just as we would not presume to pick the outcome of a peaceful election. But I do have an unyielding belief that all people yearn for certain things: the ability to speak your mind and have a say in how you are governed”.

La facoltá di dire quello che pensi e poter influire nel modo in cui si è governati. Senza pronunciare la parola “democracy”, Obama riuscí a lanciare il messaggio che tutti i popoli, anche quelli di religione islamica, desiderano la stessa cosa: la libertà di pensiero e parola e di scegliersi i propri governanti.

Passò oltre un anno da quel discorso al Cairo, prima che in Tunisia e subito dopo in Egitto, scoppiasse la “primavera araba”. Fin dall’estate del 2009 nel mondo arabo si moltiplicò l’urgenza di mobilitazione “to speak your mind”, soprattutto grazie a internet, con la diffusione di social network e blog. Ma i blogger più attivi furono censurati e quelli piú popolari finirono anche nelle galere dei regimi “filo americani” di Mubarak e Ben Alí.

Cosí, a pochi mesi dal discorso del Cairo, l’amministrazione Obama pronunciò un altro discorso chiave, e questa volta toccò al segretario di stato Hillary Clinton diffonderlo. Il 21 gennaio 2010, Hillary parlò al “Newseum” di Washington DC di “Internet Freedom”. In quel discorso Clinton, riferendosi ai tentativi di censurare l’internet, oltre ai soliti Cina e Iran, incluse Paesi alleati degli Usa come Tunisia ed Egitto (e parlò anche di Arabia Saudita…). In particolare Hillary intimò ai due regimi arabi del Nord Africa, per oltre un quarto di secolo retti da dittatori fedeli alleati di Washington, di smettere con la censura e soprattutto di incarcerare i blogger.

Cosí chi si credeva l’intoccabile bastione arabo dell’America in Medio Oriente, nel giro di pochi mesi vide prima un presidente Usa incitare gli egiziani e i musulmani del mondo a “speak your mind” e poi la potente ex first lady ora Segretario di Stato, minacciarli direttamente che Washington non avrebbe permesso più di censurare internet.

Dopo i fatti di Tahrir Square che hanno portato alla “prima” rivoluzione egiziana l’inverno scorso, l’mministrazione Obama mise il freno alla dottrina dell’ “Internet Freedom” che aiutava gli arabi a liberarsi dalle dittature. Preoccupata, per quanto riguarda l’Egitto, soprattutto della possibilità che gli estremisti islamici potessero avere il sopravvento con un crollo completo del regime, Obama per il resto del 2011 appoggíò l’ordine mantenuto dai militari. In Egitto bastava soltanto che il capo cambiasse (Mubarak) affinché tutto rimanesse com’è (i militari al potere). Ma questa settimana, dopo la rioccupazione della piazza simbolo della primavera araba con già decine di manifestanti uccisi dalla repressione, ecco la svolta di Obama, che venerdì ha intimato ai militari egiziani di lasciare il potere ai civili senza più ritardi.

Le precedenti titubanze di Obama furono provocate dal timore che quel processo rivoluzionario partito col discorso al Cairo, stesse accelerando troppo ripetto alle aspettative, troppi rais arabi tremavano e la Casa Bianca non era pronta per le conseguenze. Libia, Yemen, Siria, Bahrain, e presto anche l’Arabia Saudita… Il Medio Oriente era sottosopra ma la Casa Bianca voleva tutto cosí presto?

“Change, yes you can” era la politica estera di Obama diretta ai popoli del Medio Oriente, ma era stata immaginata con tempi più lunghi: le masse arabe sarebbero arrivate “to have a say on how you are governed” in un lento e continuo processo verso al democrazia per essere al riparo dai pericoli dell’estremismo islamista. Invece la “primavera” scorreva alla velocità di internet e non poteva essere più frenata: poteva Obama, dopo aver lanciato il sasso, continuare a nascondere la mano?

L’Egitto è il paese arabo chiave della stabilità del Medio Oriente, e gli Usa hanno il terrore che lo storico accordo di pace con Israele del ’79 potesse disintegrarsi (prima di Camp David, dal ’48 i due Paesi confinanti avevano giá combattuto 4 guerre!). Questa possibilità terrificante aveva “congelato” la primavera araba di Obama. Ma ora la Casa Bianca sembra realizzare che appoggiare la lotta per la libertà nel Paese più importante del mondo arabo, non solo può rendere più sicura Israele, ma anche gli stessi Stati Uniti. Obama nel 2009 al Cairo ha parlato di libertà, e gli egiziani hanno trasformato le sue parole in fatti.

Obama ha scherzato col fuoco e se ne pentirà? Nel 2011, nel Medio Oriente della ormai inarrestabile primavera araba, proteggere i tiranni diventa ancora più pericoloso e se l’America non risica, rosicherà solo odio e aumenterà le possibilitá di essere colpita.

 

Questo articolo viene pubblicato domenica 26 novembre su America Oggi

 

 

Stefano Vaccara

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