Rock&Movies, quattro film per quattro miti

La breve ma intensa parabola autodistruttiva del punk rock. Il viaggio attraverso i generi musicali del menestrello di Duluth. Le provocazioni delle leggendarie pietre rotolanti. Le eterne canzoni del gruppo “più famoso di Gesù Cristo”. Quattro registi, per la gioia dei cinefili e dei musicofili, hanno deciso di portare sullo schermo le vite e le opere di Joe Strummer, Bob Dylan, Rolling Stones e Beatles. Per rendere omaggio ai loro idoli ma non solo. Per portare sullo schermo ciò che essi hanno rappresentato nell’immaginario collettivo, diventando miti, icone, simboli di un passato degno di essere celebrato anche dal cinema.
“The future is unwritten” di Julien Temple, “I’m not there” di Todd Haynes, “Shine a light” di Martin Scorsese e “Across the universe” di Julie Taymor sono i film che l’Arena Argentina, in collaborazione con i Circuiti Culturali, ha scelto per la rassegna Rock&Movies, inaugurata il 6 giugno al cinema all’aperto di via Vanasco.

L’atmosfera intimistica del falò, tanto amata da Joe ‘lo strimpellatore’ quando era in vita, ma anche video domestici, materiali d’archivio, fotografie e vignette dello stesso Strummer, sono gli espedienti scelti da Temple per far raccontare ad amici, parenti, colleghi e conoscenti (tra cui Bono Vox, Johnny Depp, Mick Jagger, Steve Buscemi e molti altri illustri ospiti) l’ascesa e la caduta dei Clash, il gruppo punk inglese che nella Londra delle occupazioni e del “Winter of Discontent” fu capace di rivoluzionare il rock facendosi portavoce della protesta. L’inno politico di ‘White Riot’, l’invito di ‘London Calling’, la provocazione di ‘I fougth the law’, sono solo alcuni dei pezzi scelti per il film per rappresentare la battaglia ideologica dei “guerriglieri” londinesi. Strummer ne emerge come un artista sempre coerente col messaggio punk, che si schierò contro il divismo perfino quando la celebrità dei Clash si estese dal vecchio al nuovo continente. Ma “Il futuro non è scritto”, presentato al Sundance Film Festival e selezionato al Dublin FF del 2007, non parla solo di Joe Strummer. Il film offre un profilo affascinante e impietoso del periodo punk come momento culturale, oltre che musicale, completando una sorta di trilogia che Temple aveva intrapreso con i due precedenti docu-film sui Sex Pistols, “La grande truffa del rock’n’roll”, del 1980 e “Sex Pistols – Oscenità e Furore”, del 1999.

Insolita ed evocativa, frammentata e psichedelica, la narrazione di “Io non sono qui” presenta, attraverso sei diverse interpretazioni, sei aspetti della vita artistica e privata di Bob Dylan. Profeta o poeta, cantastorie, contestatore, anticonformista, folle, genio, la caleidoscopica figura di Bob Dylan ha attraversato la storia del ‘900 dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri, dando voce alla protesta, al disagio, alla solitudine, alle illusioni e alle utopie di diverse generazioni. Le tante storie esistenziali di Dylan, vere, possibili, presunte, costituiscono una lettura del tutto personale e forse volutamente parziale che sfugge dalle regole tradizionali del biopic. Come se Haynes volesse dirci: “Il vero Dylan è in tante cose, è ed è stato molte cose, la sua essenza non la si afferra mai del tutto e quando pensi di averla colta non è qui”. Anche la scelta musicale dal repertorio dell’artista è piuttosto insolita. Ad esempio non si sente ‘Blowin’ in the wind’ e ‘Knockin’ on heaven’s door’ risuona solo durante i titoli di coda. Un omaggio a uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, figura chiave del movimento pacifista, che con le sue canzoni ha affrontato temi politici, sociali, filosofici, letterari e che ha attraversato folk, country, blues, gospel, rock, rockabilly, jazz, swing, musica popolare inglese, scozzese e irlandese sempre con disinvoltura.

E che succede invece quando un grande regista vuole a tutti i costi filmare un gruppo immortale, deciso a calcare il palco finché l’ultima luce è accesa? Nel 2007 i Rolling Stones raggiungono il record per la tournèe con maggiori incassi di tutti i tempi. Così Martin Scorsese decide di immortalarli durante le due date al Beacon Theatre di New York, alternando al concerto estratti di interviste fatte al gruppo nel corso degli anni e scene dal backstage del film. Certo Scorsese è riuscito a raccontare un mito con la maestria e la precisione che lo caratterizzano: il montaggio veloce rimanda continuamente lo spettatore tra il pubblico e il palco; emozionanti i primissimi piani sui sorrisi e gli ammiccamenti di chi la sa lunga, avendo contribuito a dar vita al rock’n’roll, e ora si lascia celebrare; divertente la scelta di far sovrastare la città dalla linguaccia nella scena finale. I trasgressivi Rolling Stones, a sessant’anni suonati, ripropongono le loro memorabili canzoni (‘Jumpin’ Jack Flash’, ‘Simphaty for the Devil’, ‘Brown Sugar’, ‘Satisfaction’…) con l’energia di sempre. Come se non fossero soddisfatti e ci provassero ancora e ancora e ancora.

Meno realistico ma di certo non meno celebrativo, “Across the universe” non è un film sui Beatles ma un film raccontato dai Beatles attraverso 33 loro canzoni. È un musical visionario, psichedelico e ironico su un’epopea sociale, musicale e culturale. Julie Taymor racconta una storia d’amore scegliendo i Beatles come ispiratori, con le loro canzoni, delle vicende dei giovani che hanno vissuto quel periodo. ‘Revolution’, ‘I want to hold your hand’, ‘Helter Skelter’, ‘Hold me tight’, ‘Black Bird’, ‘Strawberry fields forever’, interpretate dagli attori del film (tra cui i camei di Bono Vox e Joe Cocker) ci trascinano in un vorticoso mondo colorato e fantasioso, dove però non manca il coinvolgimento politico e la protesta contro la guerra del Vietnam.

Quattro film che ci presentano un rock ormai lontano eppure sempre emozionante, che è cronaca sociale e metafora d’attualità, critico verso il paradigma dominante, controcultura positiva che dà voce ai poveri e ai diseredati (Bob Dylan), agli incazzati (The Clash), ma che sa essere anche provocazione, lusso, fama e luccichio (The Rolling Stones) e che può essere anche tutte queste cose insieme (The Beatles).

Ilaria Messina

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