Il dibattito sul futuro sindaco di Palermo è incentrato (in epoca di cultura del leaderismo) sul nome dei possibili candidati. La città, i suoi problemi, l’assenza di una propria fisionomia e identità non esistono né tra le forze politiche, né tra le forze socio-culturali. Su questo versante siamo con forza costretti a dibattere sulla dicotomia mafia-antimafia e lo resteremo se non saremo capaci di ipotizzare vie nuove del costume e delle abitudini dei palermitani. Cioè una vera e propria rivoluzione culturale.
Senza uno scossone netto e radicale sulla mission di una città con tremila anni di storia alle spalle non verremo mai fuori da questo stretto dualismo monomaniacale. Se non riusciremo a far nascere nella vita cittadina nuovi interessi e nuove forme di partecipazione popolare, se non ci batteremo per integrare la periferia al centro, se non daremo alle nuove generazioni la prospettiva di un impegno proficuo per il loro futuro, ogni discorso di cambiamento sarà un esercizio parolaio e fine a se stesso, valido soltanto a fini della ricerca del potere o dellorganizzazione di clientele per sostituire quelle legate agli avversari politici.
Se non riusciremo a realizzare, almeno in parte, questi obiettivi, Palermo non sarà mai libera e i giovani saranno sempre legati alla logica dell’appartenenza a questa o a quella clientela alla quale aderire per prefigurare il loro futuro. Ora, se si vuole veramente modificare questo cliché socio-politico è assolutamente urgente modificare i modelli culturali di riferimento e l’assetto di potere esistente nella nostra città.
Queste ragioni ci inducono a suggerire ai candidati sindaco di Palermo, come abbiamo già fatto in una precedente nota, di puntare nei loro programmi di gestione della città sulla cultura. E, di certo, non puntare alla candidatura di Palermo Capitale europea della cultura (questione propagandistica che lascia il tempo che trova). Invece di andare dietro a questi slogan sottovuoto-spinto, dobbiamo fare in modo che la rivoluzione culturale diventi la cifra del nuovo vivere civile della nostra città. La battaglia sarà vinta solo se i cittadini di ogni ceto e di ogni qualificazione umana e sociale apprezzeranno il valore della libertà, della dignità umana, della partecipazione attiva alla vita sociale e politica.
Dobbiamo avere la forza di disarticolare gli assetti di potere consolidati attorno alle strutture centralizzate dell’amministrazione cittadina e di elevare il livello degli interessi che le girano attorno ad un orizzonte metropolitano e non più localistico.
Ebbene, tra tutti i candidati alle primarie del centro sinistra, l’unico soggetto che in qualche misura appare sensibile a queste grandi istanze è sicuramente Rita Borsellino. Ne ha dato più volte dimostrazione anche con la sua visione culturale della politica, con la modestia del suo approccio ai rapporti politici e umani, con la sua visione del ruolo di servizio con il quale contrassegna la sua attività politica. Non ce ne vogliano gli altri candidati possibili, veri o presunti. Tutte persone per bene ma, a nostro parere, geneticamente incapaci di affrontare la gestione della città in unottica ‘rivoluzionaria’.
Di sicuro non Leoluca Orlando che, pur rappresentando il meglio che la città di Palermo abbia avuto dalla politica della cosiddetta Prima Repubblica, non ci sembra in grado, oggi, di esprimere una svolta. Orlando è stato sindaco di Palermo dal 1985 al 1990. Poi dal 1993 al 2000. Nella vita – e quindi anche nella vita politica – cè un tempo per tutto. E Orlando – non ce ne voglia – ha fatto già il suo tempo.
Tra laltro, va detto che lex sindaco di Palermo ha fatto perdere alla città occasioni importanti. Ha contribuito, ad esempio, a vanificare la prospettiva indicata dalla legge regionale sulle aree metropolitane, sol perché questa legge presupponeva che i servizi urbani (le municipalizzate) avrebbero dovuto essere trasferite sotto la giurisdizione, a gestione separata, dell’amministrazione provinciale (errore culturale di cui la città paga ancora le conseguenze). Non trascurando, però, di liquidare indebitamente agli assessori ed ai consiglieri comunali dellepoca unindennità aggiuntiva per il sopravvenuto gravame di lavoro che nasceva dall’ampliamento del territorio da curare…
Del centro destra, poi, nemmeno a parlarne. E’ abbastanza chiaro a tutti, infatti, che da questa parte politica non spuntano fuori candidati. Ed è anche logico: nessuno dirigente del Popolo delle Libertà ha voglia di misurarsi con i disastri economici, amministrativi e, soprattutto, sociali lasciati in eredità dal sindaco uscente, Diego Cammarata. Ricordate lo slogan (sempre slogan, purtroppo) della “città più cool d’Italia”? Ebbene, il sindaco uscente, soprattutto se guardiamo alla situazione finanziaria del Comune ormai in dissesto (la ‘furbata’ di scaricare sulle Municipalizzate il peso dei precari stabilizzati non incanta nessuno: tanto dovrà essere sempre il Comune a pagare), parafrasando lo slogan già citato, passerà alla storia come quello che ha lasciato la città col cool a terra…
Ognuno di loro – il riferimento è ai possibili candidati di centrodestra – conosce bene i disastri che la giunta Cammarata ha prodotto e non è disposto a metterci la faccia davanti. Anche se, alla fine, metteranno in campo un agnello sacrificale, gli esponenti di questo schieramento politico, peraltro divisi, sono ben consapevoli che non sarà una figura vincente.
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