Le dimissioni del consiglio d’amministrazione continuano a far discutere in casa Riscossione Sicilia e non solo. Nonostante non abiti più da quelle parti, infatti, l’ex presidente della partecipata che si occupa di riscuotere i tributi in Sicilia, Antonio Fiumefreddo, restituisce le accuse al mittente, il governatore Nello Musumeci, che nell’annunciare l’addio del cda aveva parlato di «palude» e di «gravissima situazione economica e amministrativa nella quale versa la società».
Secondo Fiumefreddo, che difende il suo operato e sottolinea di avere «preso una società sull’orlo del baratro e averla restituita risanata», alla base delle dimissioni del consiglio d’amministrazione non ci sarebbero i conti in rosso di Riscossione, ma la gratuità del lavoro svolto dai commissari. «Anziché alzare una cortina di fumo su Riscossione Sicilia, per distogliere chi segue da un suo errore – dice in una lettera aperta rivolta a Musumeci -, avrebbe fatto bene a spiegare ai cittadini che due galantuomini e una gentildonna, quali erano i componenti del cda da lei nominati, in quanto pensionati non avrebbero percepito un euro di indennità e dunque non hanno accettato. Non credo, infatti, fosse corretto pretendere da tre persone perbene che queste assumessero responsabilità, persino pagandosi di tasca propria, come ha fatto il sottoscritto, un’assicurazione sulla responsabilità degli amministratori pubblici, senza poter contare su un euro di indennità per il loro lavoro (così vuole la legge Madia). Qualcuno, magari lei personalmente, avrebbe dovuto spiegarlo loro prima di coinvolgerli in una nomina cosi importante. Bastava solo dire la verità». Da parte dell’avvocato etneo arriva poi un distinguo: «Obbligo di verità al quale ha assolto invece il suo assessore al ramo, Gaetano Armao, che ha attestato sotto la mia gestione una crescita della società del 132 per cento, fatto mai accaduto prima».
Fiumefreddo, tra l’altro, torna a ribadire che la società avrebbe chiuso il bilancio 2017 con «un attivo di 32 milioni di euro», dati confermati a MeridioNews anche dal direttore generale della partecipata, Gaetano Romano, secondo cui il bilancio 2016 vantava un patrimonio netto di 15 milioni di euro (nel 2015 il patrimonio netto era zero) e un utile, dopo le imposte, di due milioni e 750mila euro. Il bilancio 2017, invece, (ma non è ancora stato approvato, ndr) presenta un patrimonio netto di 40 milioni di euro e un utile di 32 milioni, che scende a circa 25 milioni dopo le imposte.
Ma tra le motivazioni addotte dal consiglio d’amministrazione si parla anche di un «vastissimo contenzioso per centinaia di milioni di euro» e di «inevase richieste dei dipendenti, che a loro volta hanno comportato oltre cinquecento azioni legali». Raggiunto telefonicamente da Meridionews, Fiumefreddo replica: «Il contenzioso lo abbiamo aperto noi, ne siamo stati attori protagonisti, ed è quello contro Monte dei Paschi. Per la prima volta – attacca l’ex presidente di Riscossione – è stato messo in discussione quel debito. Nessuno prima di noi si era posto il tema che, forse, la Regione non doveva quelle somme alla banca. Mentre sul fronte dei dipendenti – prosegue – era stata la Corte dei Conti a parlare di danno erariale per assunzioni e promozioni senza concorso. Dal momento in cui le abbiamo revocate, i dipendenti hanno presentato ricorso. Ma appena pochi giorni fa si è discusso il primo ricorso cumulativo che ha dato ragione all’azienda». La conclusione è affidata a una metafora: «Insomma vuoi vedere che la colpa è dei vigili del fuoco che spengono l’incendio e non di chi lo ha appiccato?».
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