«Vogliamo uscire dal fango». Così recitava uno dei tanti striscioni del corteo che sabato 28 novembre ha riunito a Messina 30.000 persone. Tra i partecipanti anche la CGIL e il comitato degli abitanti di Scaletta Zanclea, uno dei comuni più colpiti dall’alluvione del 30 ottobre. In piazza sono scesi anche gli universitari dell’UDU di Palermo, Messina e Catania. Tutti uniti a sfilare da piazza Unione Europea a piazza Francesco Lo Sardo.
«Si agisca con i fatti e non con le parole», chiede Irene Falconieri, rappresentante del comitato degli alluvionati del messinese. «Chiediamo ai politici siciliani di difendere i nostri diritti in parlamento, e il nostro diritto principale in questo momento è di condurre una vita sicura» prosegue. «La crisi ha qui il nome di mille vertenze», le fa eco il segretario generale della camera del lavoro di Messina, Lillo Oceano, elencando le principali: rete ferroviaria, strade, porti, sanità, scuola, ricerca. E con Marco Sucameli, rappresentante dell’unione degli universitari, il discorso si sposta proprio sull’istruzione: «la riforma del diritto allo studio deve essere concordata con gli studenti» dice. La scuola, ricordano i manifestanti, subirà tagli di otto miliardi di euro, e l’università di un miliardo e mezzo: per questo chiedono maggiori investimenti nell’ambito dell’edilizia scolastica e universitaria, così come nella ricerca.
L’allarme per la crisi emerge sia dal discorso di Nino Baseotto, segretario generale della CGIL Lombardia, che da quello di Mariella Maggio, segretario generale della CGIL Sicilia: «La crisi colpisce al nord come al sud» richiama l’attenzione Baseotto. «Ma senza il rilancio del Mezzogiorno, il Paese non può uscirne in maniera equilibrata» prosegue Maggio, che ne testimonia la presenza ancora ingombrate con i numeri, quelli dei posti di lavoro persi in Sicilia tra il 2006 e il 2009: 54.000. La pensa allo stesso modo Guglielmo Epifani, segretario nazionale CGIL, che invita a cambiare marcia rivedendo la lista delle urgenze: «Il ponte sullo stretto non è una priorità, il vero ponte di cui abbiamo bisogno adesso è quello della fiducia», spiega.
Vari i problemi affrontati nel corso degli interventi e per cui i cittadini sono scesi in piazza. La possibile chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, considerato una grande risorsa per l’economia siciliana, e al quale, quindi, bisogna dare un futuro. C’è poi la vicenda del precari, che tocca particolarmente il sud, dov’è concentrata la maggior parte di queste presenze. Ed infine, l’ultima preoccupazione: 100.000 giovani ogni anno vanno via dalla Sicilia per proseguire gli studi al nord. «Quando un giovane parte, difficilmente torna – conclude Epifani – e quando non torna è come se si spegnesse una candela che può contribuire a cambiare la situazione in cui si trova la Sicilia».
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