Ricercatori precari, flash mob per la stabilizzazione «Andare all’estero? È una sconfitta inaccettabile»

«All’estero il ricercatore è il benvenuto. Essere espulso dal sistema di ricerca italiana, pur avendo contribuito al suo sviluppo, è una sconfitta che molti di noi non possono accettare. Serve un piano di assunzioni chiaro e programmato per la stabilizzazione di 850 precari a livello nazionale». Prosegue senza sosta l’ondata di proteste che vede protagonisti i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche. Tecnici e tecnologi si sono riuniti oggi all’Ipcb-Cnr di Catania, per spingere l’Ente all’integrale applicazione del Piano straordinario di stabilizzazione, previsto dalla cosiddetta legge Madia.

«Il decreto è stato applicato solo parzialmente – spiega a MeridioNews Sergio Argento, ricercatore precario dal 1998 e specializzato nel settore agroalimentare – Più di mille ricercatori sono stati assunti a tempo indeterminato, ma ci sono ancora tanti studiosi da stabilizzare e per la maggior parte di loro i fondi sono già disponibili». «Il precedente governo nazionale e quello attualmente in carica – prosegue Argento – hanno stanziato fondi vincolati pari complessivamente a 94 milioni di euro. Il Cnr ne ha spesi 61. Il tasto dolente – sottolinea – è che ci sono ancora 33 milioni per le assunzioni ma di questi solo dodici sono disponibili. Il resto è stato impiegato per i cofinanziamenti».

Circa 80 unità di personale hanno già maturato tre anni di servizio che valgono loro l’assunzione di diritto. Altri 810 sono risultati idonei al concorso bandito nel 2018, ma di questi solo 104 sono stati assunti. Ci sono ancora 706 studiosi in attesa. Per Angelo Palmigiano, esperto di malattie genetiche e metodi diagnostici, «la ricerca non viene finanziata da 20 anni. Il progetto scade prima che il ricercatore abbia concluso il proprio lavoro. La legge Madia ha risollevato il problema precari, ma non basta. Bisogna eliminare il blocco del turn over». Per permettere agli studi di andare avanti e progredire con le conoscenze e l’esperienza di chi l’ha maturata.

Come Michele Sciacca, co.co.co. dal 2005 e componente del coordinamento nazionale precari. Il suo contratto è scaduto il 31 dicembre 2018. Nel 2011 Michele è stato assunto come post doc all’University of Michigan, ma ha deciso di tornare in Italia perché considera la ricerca «il motore del cambiamento». «Ho lavorato per due anni nel laboratorio Ramamoorthy – racconta a MeridioNews – a progetti di ricerca sull’Alzheimer e sul diabete mellito finanziati dal National institues of health (Usa). Ho comunque continuato a collaborare con il Cnr». Il ricercatore 39enne, però, nel 2013 è «rientrato in Italia per portare le competenze acquisite negli States nel mio Paese».

«A Catania – evidenzia un precario in protesta – c’è un altro problema che si aggiunge al precariato della forza lavoro: quello legato alla sede. L’Unione europea aveva stanziato circa 30 milioni che non sono stati usati per colpa degli stessi attori che volevano trasferire tutti in Myrmex, alla zona industriale. Il Cda aveva individuato l’azienda di proprietà di Gianluca Calvi, avvocato e amministratore unico della ditta milanese specializzata nella distribuzione di dispositivi per l’ortopedia e la traumatologia, come sede dell’area di ricerca di Catania. Non era una decisione oculata – sostiene ancora – ed è stato dimostrato. Sembra che quasi che il Cnr abbia voluto punire i sindacati per essersi opposti all’acquisizione».

Gabriele Patti

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