Se Rosario Crocetta accende la miccia, Alessandro Baccei è subito pronto, secchiello in mano, a spegnere il focolare. La lettera aperta del governatore al suo assessore all’Economia, ieri pomeriggio, ha lasciato filtrare tutte le tensioni interne alla maggioranza di governo e – di riflesso – alla giunta regionale. Che dopo l’uscita di scena di Gianluca Miccichè – dimessosi dalla carica di assessore alle Politiche sociali -, secondo molti potrebbe vedere un nuovo cambio, con il governatore che sostituirebbe volentieri proprio Baccei. Sullo sfondo rimangono sempre la campagna elettorale, la finanziaria, lo scontro interno al Pd con le fughe in avanti di Faraone e Crocetta, le frizioni nella maggioranza, i dubbi dei moderati, le cene con Miccichè da una parte e con Totò Cuffaro dall’altra.
In queste ore, in molti si fa avanti la convinzione che l’obiettivo del governatore sia quello di andare verso un rimpastino di governo, verosimilmente già durante l’esercizio provvisorio. Una fase di transizione, prima dell’approvazione del bilancio, che gli alleati di Crocetta sembrerebbero intenzionati ad allungare fino al 30 aprile, per impedire al primo inquilino di palazzo d’Orleans di procedere con nuove nomine di peso. Nel caos della coalizione di governo, l’unica certezza sembra essere che, dopo le insistenti voci del giorno dopo la resa di Miccichè, Emiliano Abramo della comunità di Sant’Egidio di Catania non entrerà nella giunta regionale. Nome gradito al presidente, Emiliano non appassiona però i centristi, più orientati su un fedelissimo. Tra gli uomini di Pierferdinando Casini, il più sponsorizzato sarebbe il capogruppo all’Ars Mimmo Turano, che però non troverebbe il favore di Crocetta. L’ipotesi più plausibile, allora, sembra quella di una donna, espressione dell’associazionismo cattolico. Tutto il resto, è una matassa ancora da districare.
Certo, le frizioni nella maggioranza non aiutano i centristi di D’Alia a rimanere in giunta. Ma sembra altrettanto vero che a nessuno dei moderati guidati dal senatore messinese convenga uscire dall’esecutivo regionale, complice la tempistica che legherebbe la decisione alla figuraccia rimediata a Le Iene da Miccichè. La exit strategy resta, dunque, quella di congelare le valutazioni politiche sul governo Crocetta e rimandare la «valutazione sull’opportunità di continuare a sostenere l’esecutivo» a fine marzo. L’assise, convocata a inizio mese per il 28 febbraio a Caltanissetta, è stata infatti posticipata e con ogni probabilità si terrà il 26 marzo a Palermo, alla presenza dello stesso Casini. «Le priorità per il partito – recita la nota diffusa dai centristi – sono superare lo stallo parlamentare all’Ars, che la prossima settimana darà il via libera alla proroga per un altro mese dell’esercizio provvisorio, per concentrarsi sulle emergenze, destinando risorse ai Comuni che erogano i servizi essenziali e approvare poi la finanziaria, alla quale il parlamento dovrà comunque dare il via libera entro il 30 aprile».
E se tra Crocetta e i centristi si è scelto di seppellire – almeno per ora – l’ascia di guerra, resta lo scontro in casa Pd tra il governatore e i renziani, culminato ieri nelle due lettere al vetriolo di Crocetta. Un caso che l’assessore all’Economia prova a stemperare: «Mi aveva chiamato ieri mattina – racconta Baccei a Meridionews – e mi aveva detto che sulla stabilizzazione dei precari non era d’accordo con la versione del sottosegretario Davide Faraone. Mi aveva anticipato che avrebbe replicato, ma la modalità non la conoscevo», ammette l’assessore. Riguardo alla vicenda dei disabili, Baccei aggiunge che gli uffici stanno lavorando per recuperare le somme aggiuntive, pretese da Crocetta. «Sicuramente si tratta di una priorità – continua -. Abbiamo firmato lo scorso giovedì un nuovo accordo con lo Stato e stiamo verificando se possiamo anticipare le somme già nell’esercizio provvisorio». Sui precari, invece, «la versione del governo resta la stessa fornita negli scorsi giorni da me e dall’assessora Lantieri, bisogna aspettare la legge Madia per procedere». Ma questo Crocetta lo sapeva già, e l’intenzione evidentemente era tutt’altra: togliere la paternità politica della stabilizzazione al suo diretto competitor Davide Faraone.
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