Buona la terza. Il progetto per il mega-impianto di compostaggio di Emanuele Caruso e della compagna Daniela Pisasale – entrambi arrestati ad agosto per le presunte mazzette a Bellolampo – ha superato le verifiche di natura ambientale a cui da tempo era sottoposto, dopo che per ben due volte si era scontrato con il parere negativo della commissione tecnico-specialistica della Regione. Ma pensare che adesso la strada per l’apertura del sito – una sede del mattatoio del Co.Al.Co e nei cui pressi, nel 2007, vennero uccisi Angelo Santapaola e il suo guardaspalle Nicola Sedici – sia in discesa potrebbe essere avventato.
Fatto l’impianto, però, resterà da capire come si inquadrerà la sua messa in funzione. Non tanto da un punto di vista tecnico, quanto da quello riguardante la legittimità al trattamento dei rifiuti: l’organico, infatti, così come il resto dei rifiuti urbani non è gestibile in regime di libero mercato. In altre parole, la legge dice che bisogna avere la titolarità del rifiuto. Il principio è specificato anche nel piano di gestione regionale che dovrebbe presto vedere la luce. «Per le autorizzazioni all’impiantistica di titolarità privata, oltre al nulla osta dell’autorità d’ambito, per l’esercizio e l’alimentazione dell’impianto il richiedente dovrà attestare la titolarità del flusso dei rifiuti di cui è affidatario». L’affidamento – secondo il progetto Rem dovrebbe lavorare 630 tonnellate al giorno per un totale annuo di 230mila, ovvero oltre un terzo dei rifiuti organici prodotti dall’intera Sicilia – normalmente avviene tramite gara d’appalto, a meno di non ritrovarsi in situazioni d’emergenza. Scenari che la Sicilia ha vissuto per decenni ma che il governo Musumeci ha più volte dichiarato appartenere al passato.
L’iter che ha portato all’autorizzazione ambientale ottenuta da Rem è stato tutt’altro che sereno. Tra le centinaia di pagine che raccolgono le osservazioni degli uffici regionali e le repliche della ditta, chiamata a dicembre dell’anno scorso ad apportare una lunga serie di modifiche al progetto, sono almeno due le anomalie emerse. La prima riguarda il parere di compatibilità ambientale rilasciato dalla passata commissione tecnico specialistica, quella che è stata sollevata dall’incarico in seguito al coinvolgimento dell’allora presidente Alberto Fonte nell’inchiesta su Vito Nicastri e Paolo Arata. Il documento, datato 29 maggio 2019 e contenente 75 prescrizioni, non è l’unico parere esitato dalla Cts. Anzi per la precisione è il secondo: un primo parere, infatti, era stato dato un mese prima. «Si evidenzia la cancellazione di alcune rilevanti prescrizioni», è la segnalazione partita dalla Cts e destinata all’assessorato. Confrontando i due documenti si scopre che nel secondo parere, emesso in seguito a un confronto chiesto ai tecnici regionali dalla Rem, la necessità di ottenere un nulla osta da parte della Srr (gli enti chiamati a decidere la localizzazione degli impianti) già in fase progettuale viene posticipata alla fase di esercizio del sito «attraverso la richiesta formulata dai Comuni che intendono conferire». Un’altra modifica riguarda la possibilità di ricevere il cartone: nel primo parere era stata esclusa, nel secondo ammessa «laddove esclusi dal circuito Comieco (il consorzio che si occupa del riciclo degli imballaggi, ndr)».
Molto più di recente, invece, è emerso il sospetto che la società amministrata da Daniela Pisasale fino all’8 agosto, quando all’indomani della retata a Bellolampo ha passato formalmente le mani all’ingegnere Giovanni Maria Lo Gerfo, abbia avviato i lavori di costruzione dell’impianto di compostaggio prima di ottenere l’ok definitivo da parte della Cts. Il problema è venuto fuori a fine luglio durante un sopralluogo. «Parte dei lavori per la realizzazione dei capannoni risulterebbe già effettuata e conclusa – si legge nel verbale -. Sul sito è presente un capannone di recentissima edificazione. Da una successiva verifica delle tavole di progetto, il capannone nella sua forma risulta difforme dalle tavole presentate nel procedimento». A questo rilievo, la Rem ha risposto sostenendo di avere avviato i lavori sulla base di un permesso di costruire rilasciato dal Comune di Catania. Via libera che però, secondo la commissione tecnico-specialistica della Regione, sarebbe stato comunque subordinato al completamento della verifica di ottemperanza che arriverà solo quattro mesi dopo.
La tesi difensiva della società è stata ribadita anche a inizio novembre, nel corso di un secondo sopralluogo. A presenziare, oltre ai rappresentanti della società e della Cts, sono stati anche i referenti del Corpo forestale, dell’Arpa, della Città metropolitana e del Comune di Catania. Se i primi tre enti hanno messo a verbale di non essere nelle condizioni di esprimere valutazioni, Palazzo degli elefanti, per bocca del direttore all’Urbanistica Biagio Bisignani, ha dichiarato che «le opere verificate consistono esclusivamente nella realizzazione urbanistica dei volumi richiesti nel permesso e certamente non si individuano sul posto opere di finitura edilizia in quanto ad oggi il compendio edificatorio è al grezzo e non completo». Una tesi, secondo Bisignani, avvalorata da diversi segnali «in quanto anche parti strutturali risultano incomplete e nella configurazione di armature non ancora gettate».
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