Una relazione nata all’interno di una struttura d’accoglienza. Tra un ragazzo del Senegal, da poco diventato maggiorenne, ma all’epoca dei fatti 17enne, e una giovane di dieci anni più grande di lui. Assunta come animatrice culturale ma che, scrive il Tribunale dei minori di Catania in una nota, «in realtà svolge la funzione di educatrice con turni di 12 ore anche di notte». Tra i due, col passare del tempo, il rapporto si è fatto più stretto e la ragazza è rimasta incinta. È quanto successo nei mesi scorsi in una delle strutture catanesi gestite dall’educandato Regina Elena, al centro di numerose proteste da parte dei minori ospiti, creditore dal Comune di quasi due milioni di euro e con i dipendenti che, ad aprile, avanzavano 16 stipendi di arretrati.
È in questo contesto che matura la relazione tra una giovane dipendente e il 17enne richiedente asilo. Il minore viene affidato al Regina Elena nel giugno del 2014. Si lascia alle spalle una storia di violenza. Dopo l’uccisione del fratello, che si è rifiutato di arruolarsi nell’esercito democratico di Casamace (gruppo armato indipendentista che combatte nella regione meridionale del Senegal), il padre gli impone di partire per evitargli la stessa probabile sorte. Percorre la tratta comune a milioni di profughi che lo porta in Libia, infine in Italia. Dove presenta richiesta di asilo politico.
Per i primi quattro mesi, affidato all’educandato, è ospite in quella che lo stesso tribunale definisce «una non meglio definita casa d’emergenza del Regina Elena che non risponde ad alcuna previsione normativa o convenzionale di accoglienza secondo gli standard regionali e nazionali». Successivamente viene trasferito in un’altra struttura a Catania, sempre gestita dall’opera pia. Ed è qui che incontra la ragazza con cui, col passare dal tempo, stringe un rapporto che culmina nella gravidanza. Evento che avrebbe creato nel minore un forte disorientamento iniziale.
Come spesso accade all’interno di alcune comunità d’accoglienza dove il personale è precario, sottopagato e non qualificato, la giovane avrebbe svolto un ruolo diverso da quello per cui era stata assunta. Dalle testimonianze raccolte dal Tribunale dei minori si evince che anziché una semplice animatrice culturale, figura che dovrebbe trascorrere solo poche ore al giorno nella struttura, la giovane era diventata una vera e propria educatrice con turni massacranti, anche di 12 ore consecutive, compresa la notte.
All’Ipab Regina Elena si è da poco insediata la commissaria Donatella Genovese, nominata dall’assessorato alle Politiche sociali. Arduo il compito che l’aspetta nei prossimi tre mesi: fare luce sulla gestione degli ultimi anni che ha portato l’opera pia a una grave situazione economica finanziaria, con i dipendenti a subire i maggiori disagi. Lo scorso 17 aprile un’ottantina di minori ospiti della struttura di via Aporti sono scesi in strada per protestare contro i tempi lunghi per ottenere i permessi e le condizioni carenti della comunità. In quell’occasione il responsabile Vincenzo Di Mauro aveva denunciato: «Non può essere lasciato senza soldi un istituto con cento ragazzi. Sono stato abbandonato. Loro, i ragazzi, hanno pure le loro ragioni».
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