«Speriamo che i giovani colgano questa sfida», erano state circa un mese fa le parole di Francesco Patanè, direttore artistico di Refugees’ got talent: il primo contest che mette al centro i migranti, sul piano sia umano che artistico. Una sfida accolta che adesso «ci consente di fare un viaggio immaginario per i continenti del mondo». Su iniziativa della Rete del rifugiato e in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, il 21 giugno in piazza Università si esibiranno i 13 finalisti, di cui saranno premiati i tre migliori nelle sezioni canto, danza e recitazione.
Un talent sui rifugiati, ma non solo per rifugiati. Aperto alla partecipazione di chiunque, purché sensibile al tema lanciato. «Infatti si è presentato anche un gruppo musicale italiano – racconta Patanè – L’obiettivo era la ricerca di talenti capaci di emozionare sul palco. E così è stato. Su ventuno, ne abbiamo scelti tredici». Una selezione avvenuta sulla base dei video conoscitivi dalla durata di tre minuti inviati dai partecipanti, così come previsto dal bando trasmesso alle varie comunità che si occupano di integrazione e accoglienza sul territorio etneo. «Abbiamo visionato performance di vario genere: qualche inedito musicale, canzoni reinterpretate, esibizioni di danze molto ritmiche legate alla cultura indiana, giamaicana e latinoamericana, recitazione di testi scritti e interpretati dai concorrenti».
La scelta è stata effettuata da un gruppo di lavoro costituito da Patanè, appunto, nonché da un volontario del Centro Astalli di Catania, che si occupa di assistenza agli immigrati, da un componente locale della Agenzia per il rifugiato Unhcr e dal personale di segreteria che ha collaborato alla raccolta del materiale. Sul palco di piazza Università ci saranno suoni d’oltreoceano e note liriche che raccontano le emozioni di chi parte, di chi arriva ma anche di chi continua a vivere idealmente nella terra natìa. «I concorrenti raccontano attraverso l’arte molte emozioni: l’abbandono, la nostalgia ma soprattutto l’incontro, che nasce dal confronto delle differenze».
Ma anche «la voglia di essere considerati persone e non scarti nelle terre in cui arrivano e dove ritrovano la pace, a confronto con il ricordo della guerra. A cui, purtroppo, restano ancorati attraverso i contatti che hanno con i parenti rimasti là, quando hanno la fortuna che non siano morti. Insomma, raccontano, cantano e danzano la speranza di un futuro migliore per tutti, in un mondo che è più bello se le differenze si fondono». Così lo show mostra il migrante come «un altro se stesso; perché anche ascoltare ritmi che non sono consoni al nostro orecchio mette in moto la dinamica dell’incontro».
Alle esibizioni si alterneranno testimonianze dirette, mentre i vincitori saranno premiati con una targa simbolica e una macchina fotografica. «Saranno designati da una giuria di esperti in canto, danza e recitazione – precisa il direttore artistico –. Ma il nostro vero scopo è fare capire che i migranti sono risorse potenti per la nostra città e non pesi sulle spalle dei cittadini. Forse dal punto di vista artistico è un esperimento, ma assume maggiore valore per le persone che lo stanno compiendo».
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