Ragusa, con Bitume le opere d’arte trasformano la fabbrica «Non importa se viene demolita per costruire cose nuove»

Un’opera d’arte da visitare con scarpe da trekking e caschetto, immersi nella natura selvaggia. È lo spirito del progetto site specific che prende il nome di Bitume. Un industrial platform of arts nata all’interno di FestiWall, il Festival di arte pubblica che in cinque edizioni ha arricchito il capoluogo ibleo di oltre trenta lavori fra opere murali e installazioni, che legano l’archeologia industriale all’arte pubblica e che è stata inaugurata lo scorso venerdì 16 ottobre a Ragusa.

«Trattiamo un tempo secolare e, se teniamo in considerazione le miniere, possiamo dire che lavoriamo anche sull’aspetto geologico del bitume in quanto concept dell’operazione», spiega a MeridioNews il direttore artistico Vincenzo Cascone. «C’è un aspetto materico molto forte, oltre alla presenza degli artisti che sono i veri ricercatori dell’operazione e che si sono misurati con la materia e con la storia che ha attraversato la popolazione ragusana e le varie generazioni che hanno lavorato tra le miniere e l’industria di Antonino Ancione».

È proprio Bitume è il titolo dell’operazione che si è mossa per gradi, riempiendo con oltre trenta opere l’ex fabbrica di materiale bituminoso Antonino Ancione, con cui sono state costruite le strade non solo della Sicilia ma anche di tante capitali europee. Prima della scoperta del petrolio e dei pozzi sfruttati e poi esauriti, infatti, l’oro nero di Ragusa era la pietra pece, materiale fossile con grande versatilità di impiego, utilizzato nella costruzione dei palazzi nobiliari e delle chiese barocche, ma anche come idrocarburo e come asfalto destinato all’ammodernamento del manto stradale.

«Bitume è esplorazione, incursione in una materia che ha plasmato lo sviluppo di un’intera società – analizza Cascone – ricerca di un tassello di storia del Novecento, di un racconto individuale e collettivo scritto dai tanti lavoratori che hanno estratto e trasformato la roccia asfaltica di contrada Tabuna». E ha un obiettivo ben preciso: spostare la riflessione dal tessuto urbano al contesto industriale, dal prospetto verticale dei palazzi al sottosuolo, in uno spazio dove il passato è reinterpretato dal segno degli artisti, coinvolti in una ricerca che diventa studio scientifico, tra i capannoni e i container dismessi dell’industria.

«L’emergenza Covid ci ha messo di fronte alla necessità di suddividere i momenti e di rompere con l’arte pubblica intesa come festa, concerti, spettatori – aggiunge il direttore artistico – L’idea che sta alla base di FestiWall. Qui il momento di ricerca degli artisti è separato dal momento della fruizione». Che avverrà con il distanziamento sociale e tutti i dispositivi di sicurezza attraverso le visite guidate gestite dall’EcoMuseo Carat, che si terranno nei fine settimana con prenotazioni online.

Sono venticinque gli artisti protagonisti, molti dei quali negli anni hanno partecipato alle varie edizioni del festival lavorando contestualmente anche a questa opera segreta, come il duo italiano Sten e Lex, l’australiano Guido van Helten, il calligrafista italiano Luca Barcellona, il polacco M-City, lo spagnolo Sebas Velasco, i greci Simek e Dimitris Taxis e tanti altri. «È un progetto che si è nutrito anche di ricerche personali degli artisti che non si sono limitati a realizzare una sola opera, ma hanno fatto una ricerca sperimentale sull’archeologia industriale», spiega Cascone. 

Ed è proprio questo il fil rouge che lega le opere all’interno della fabbrica. «Dietro il bitume – continua – c’è la crisi della società industriale, c’è la società post industriale, c’è un’architettura che ha segnato lo sviluppo di una città e anche la comprensione di quanto valga l’archeologia industriale. La materia bituminosa – analizza Cascone – ci mette in contatto con gli aspetti storici, sociologici, antropologici, economici, ideologici attraverso anche la storia dell’azienda che ci racconta il fascismo, le lotte sindacali, gli sviluppi della storia italiana ed europea delle condizioni di lavoro e non solo». Da qualche tempo è nata anche una collaborazione con la facoltà di Geologia dell’Università di Catania. «È bello e stimolante che arte e scienza collaborino per arrivare a un risultato e per creare una traccia».

Resta incerto, però, il futuro dell’opera. «Il suo destino dipende dal valore che le diamo. O è ferro o è memoria. Se è memoria allora sarebbe utile salvaguardarla. Tuttavia non dobbiamo essere troppo attaccati a un’operazione che vuole creare una memoria. Perché – prosegue il direttore artistico – una volta creata non importa se viene distrutta per costruire nuovi insediamenti produttivi. Non vogliamo drammatizzare nel caso venisse demolito, perché la cancellazione fa parte della condizione umana. Con le giuste condizioni – conclude Cascone – potrebbe diventare un centro sperimentale di arte contemporanea».

Giorgia Lodato

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