Ragazzi, quanta ipocrisia per la fine della Vucciria!

IL MERCATO STORICO DI PALERMO E’ SCOMPARSO DA TEMPO NELL’INDIFFERENZA GENERALE. COLPA NOSTRA – COLPA DI NOI PALERMITANI – CHE CI SIAMO SEMPRE FATTI AMMINISTRARE DA PERSONAGGI CHE HANNO DISTRUTTO LE NOSTRE TRADIZIONI

Dai primi anni ’90 del secolo passato il mercato della Vucciria di Palermo ha cominciato a morire. All’inizio piano piano. Negli ultimi quattro-cinque anni, a grande velocità. Non è esagerato dire che, oggi, la Vuccuria non esiste più. Eppure, è bastato il crollo di un edificio pericolante dal 1943 – anno di bombardamenti, seconda guerra mondiale – per scatenare un diluvio di retorica.

Improvvisamente, i palermitani si sono ricordati che c’è la Vucciria. E sono cominciate le geremiadi: “Salviamo la Vucciria di qua, salviamo la Vucciria di là”. E via con i soliti giornali del Nord che, con il tocco intellettual-antropologico, ci ricordano che le “balate” della Vucciria non si sarebbero mai dovute asciugare… (a sinistra, foto del celebre quadro di Renato Guttuso foto tratta da flickr.com)

In realtà, come già accennato, la Vucciria non c’è più da un pezzo. Un tempo era il mercato del pesce di Palermo. Anche se Renato Guttuso, nel suo celebre quadro, oltre alla solita donna, ha valorizzato gli animali squartati e la frutta.

La Vucciria non c’è più da anni. Ma agli amministratori di Palermo – dai primi anni ’90 fino ai nostri giorni – della morte della Vucciria non glien’è mai fregato nulla. Nulla di nulla. A parte qualche blando dibattito in Consiglio comunale – luogo dedito più agli affari privati che agli interessi della collettività – il tema di questo mercato popolare non è mai stato affrontato.

Già nei primi anni ’90 si parlava dell’impossibilità, per i palermitani, di frequentare questo mercato. L’unico modo per arrivarci, già allora, era a piedi. O con gli improbabili autobus dell’Amat. Non parliamo di parcheggi, perché questa parola, a Palermo, è un’eresia.

Basta arrampicarsi negli ultimi piani dei palazzi ancora in piedi, in Piazza del Garraffello, per osservare ancora oggi ciò che resta dei bombardamenti mai rimossi dalle amministrazioni  comunali che si sono succedute dal secondo dopoguerra fino ad oggi. Passi che non l’abbiamo fatto Lima e Ciancimino. Ma ci siamo chiesti perché le amministrazioni di Leoluca Orlando della seconda metà degli anni Ottanta e degli anni Novanta del secolo passato non hanno mai fatto nulla per la Vucciria e per la zona che oggi frana?

La verità – lo ripetiamo – è che della Vucciria non glien’è mai fregato niente a nessuno. Palermo è stata, per oltre 50 anni, l’unica città europea ad avere un assessorato comunale all’Edizilia pericolante. Sapete di cosa si occupava questo assessorato negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta? Della morte.

Per oltre quarant’anni l’assessorato comunale all’Edilizia pericolante, per la classe dirigente di Palermo, o presunta tale, non era una semplice entità amministrativa. Era qualcosa di più: un mezzo per riproporre, in chiave urbanistico-esoterica, l’opera millenaria dei Cappuccini di Palermo.

Se i Cappuccini imbalsamavano uomini e donne, proiettandoli nell’Eternità, gli amministratori di Palermo, alla fine, facevano la stessa cosa con il Centro storico: lo lasciavano vivere nella morte: perché a questo serviva l’assessorato comunale all’Edilizia pericolante: a far vivere la morte, accompagnando il degrado, rallentando, con il ruolo insostituibile della mafia e della mentalità mafiosa, la lenta entropia economica e sociale di questi luoghi.

Il ruolo degli assessori comunali all’Edilizia pericolante era anche quello di prendere i disgraziati che si ostinavano ad abitare nel Centro storico – per esempio nella zona ‘terremotata’ che dalla Vucciria scende fino alla Cala – e di trascinarli (sarebbe meglio dire deportarli) nei ‘ridenti’ quartieri che l’edilizia popolar-appaltizia aveva nel frattempo ‘ammannito’: prima Villaggio Santa Rosalia, Falsomiele, Borgo Nuovo e Cep e poi Zen 1 e Zen 2.

A ritardare le ‘deportazioni’ pensava la mafia, che occupava ‘preventivamente’ le case popolari, sostituendosi, di fatto, all’Istituto case popolari. L’occupazione abusiva delle case popolari e le scarse piogge di quegli anni, alla fine, hanno mantenuto alla Vucciria i vecchi abitanti.

Ma gli anni passano per tutti. E chi non è stato ‘deportato’, magari è rimasto lì fino a quando è passato a miglior vita. Nel frattempo – l’abbiamo accennato – vuoi perché gli abitanti del quartiere, sempre più degradato, sono diminuiti, vuoi perché senza parcheggi e senza un minimo di servizi è diventato sempre più difficile frequentare la Vucciria, questo mercato è entrato in crisi.

Negli ultimi anni è cambiato anche il clima della Sicilia. Da sub tropicale arido sta ridiventando sub tropicale umido. Per oltre cinquant’anni i crolli, a Palermo, non sono stati tanti non perché c’era la manutenzione da parte del Comune, ma perché le piogge erano scarse. Oggi che le piogge sono molto più abbondanti rispetto agli anni Novanta e, soprattutto, rispetto alla siccità degli anni Ottanta, le abitazioni fatiscenti si sgretolano e cominciano a venire giù.

Nell’area ancora oggi bombardata – con i soldi pubblici, ma anche facendo intervenire i privati – si sarebbero potuti realizzare parcheggi sotterranei o multipiani e altri servizi per la collettività. Questo avrebbe creato le condizioni per consentire ai palermitani di mantenere vivo il mercato storico della Vucciria.

Invece tutte le amministrazioni comunali si sono disinteressate della Vucciria. E hanno lasciato morire un mercato storico nell’indifferenza generale.

Oggi la Vucciria è il ritrovo serale e notturno dei ragazzi. Si va a bere birra e a ‘mangiucchiare’. E’ anche un ritrovo di artisti, ignorati da una città che vive la cultura non come dialogo con l’anima, ma per farne bassa politica contrabbandata per chissà che cosa: per esempio “Palermo Capitale della Cultura europea” e buttanate varie.

Il mercato storico, invece, è quasi scomparso. E di questo dobbiamo dire grazie a noi stessi che, dagli anni ’80 del secolo passato, ci siamo fatti amministrare da personaggi che hanno ignorato la Vucciria e le nostre tradizioni.

Giulio Ambrosetti

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