Raffaele Lombardo spettatore della politica «Tra i miei ex vertici troppi voltagabbana»

La politica ormai la guarda con l’occhio di un «normale cittadino». Parola dell’ex presidente della Regione siciliana
Raffaele Lombardo, le cui attenzioni oggi sono più concentrate sulle proprie vicende giudiziarie. Tanto da fare uno specifico voto di fede «per non partecipare più a competizioni elettorali per cariche elettive». A cambiare sono anche le abitudini, dai «non meno di venti caffè al giorno, alcuni col ginseng, che fa anche ingrassare con tutto quello zucchero» a un grande boccale di tè e tisana  – «più tisana che tè» – sorseggiato durante l’intervista. Così come la passione per la sua campagna a Ramacca. Lombardo del periodo da presidente a palazzo d’Orleans, nonostante l’impegno, rimpiange poco o nulla arrivando a maledire il giorno «in cui dissi sì alla proposta di fare il governatore». Il giudizio è netto anche sulla ventilata ipotesi di una sua regia dietro il movimento Noi con Salvini in Sicilia che sta raccogliendo in questi mesi il favore di molti ex autonomisti. Tra cui diversi riciclati.

Qual è il suo giudizio sul governo di Rosario Crocetta?
«L’ho già detto più volte: non esprimo giudizi in politica. Avrei fatto meglio a vivere l’impegno politico con maggiore senso della misura e non ci sarei riuscito se l’avessi voluto ma, adesso che sono riuscito a svezzarmi e ho scoperto un’altra vita, non mi va di entrare nel merito per cui peraltro mi baserei su quello che leggo, perché non mi consulto di certo né con Crocetta né con i suoi assessori. Leggo di questi giudizi critici, ma capisco le difficoltà perché ci sono passato. Sono stato a palazzo D’Orleans a tempo pieno, ci sono stato venti ore al giorno, dalla mattina presto alla notte inoltrata, e maledico il giorno e l’ora in cui dissi sì alla proposta di fare il governatore. Per carità, avrei dato e ho dato tutto me stesso per la Sicilia e i miei concittadini, ma in quelle e in queste condizioni il presidente non si può fare. Quindi non so quanti errori commette chi mi precede o chi mi succede, ma so che è un meccanismo che ti distrugge, ti macina, ti fa a pezzi. Solo un santo può fare miracoli».

Se dovessimo scrivere dei siciliani voltagabbana degli ultimi tre anni ci vorrebbe una mezza Treccani

Quanto ritrova del suo progetto politico autonomista nelle alleanze allargate a livello locale, Catania, e regionale? Soprattutto dopo l’ingresso di diversi ex autonomisti nel Pd.
«Non so quanta gente credesse davvero nel progetto autonomista. Ci credeva la base, con grande entusiasmo, ma nella classe dirigente direi pochissime persone. La gran parte vi ha aderito per convenienza, e me ne sono accorto solo dopo; è stata una scelta opportunistica seguita dalla trasmigrazione verso altri lidi più sicuri. Non lo so se questo è un voto di scambio di dimensioni apocalittiche… Qualche tempo fa mi hanno regalato Italiani voltagabbana di Bruno Vespa, che è un volumotto abbastanza grosso; se dovessimo scrivere dei siciliani voltagabbana degli ultimi tre anni ci vorrebbe una mezza Treccani, tre o quattro volumi. Certo, le difficoltà politiche e finanziarie, gli scandali, e soprattutto la mia vicenda giudiziaria nuocciono enormemente al progetto autonomista, che però oggi viene intaccato più di tutto dal governo nazionale che preleva dalle Regioni miliardi di euro per riequilibrare i propri conti. Per me c’è poco da fare, dopo aver sputtanato questi enti, additandoli come spreconi, si andrà verso una concentrazione di poteri con il favore dell’opinione pubblica. È vero, le Regioni andrebbero riformate, ma a una terra come la Sicilia, che è cosa diversa dal Sud, forse l’autonomia non basta, ci vorrebbe qualcosa di più».

Ha ragione allora chi parla di una sua regia dietro il movimento Noi con Salvini in Sicilia?
«Per nessuna ragione. Un movimento che s’intitola a una persona è la negazione di una qualunque impostazione autonomista o federalista. Di certo Salvini piace, buca il video, i suoi discorsi contro l’euro o l’immigrazione piacciono ai cittadini e questo può riguardare uomini e donne che, ci credano o no, trovano uno spazio politico. In base alla mia esperienza però consiglierei a Salvini, a proposito di quelle trasmigrazioni di cui parlavo prima, di guardare bene il curriculum di questi soggetti che magari nell’arco di tre anni hanno cambiato quattro partiti. Ma sono affari che non mi riguardano né mi appassionano, rispondo da lettore di giornale».

Intendeva il curriculum politico quindi. Per un attimo pensavamo si riferisse a quello giudiziario.
«Anche quello, ci mancherebbe. Ma chi fa politica deve guardare innanzitutto alle scelte più o meno convinte e sincere di ciascuno».

A proposito di scelte, che ci dice del suo voto per non partecipare più alle elezioni?
«Io sono un credente e ho ritrovato un rapporto forte con la fede, che in verità non si era mai interrotto. Per capirci, a Grammichele ero responsabile dell’associazione cattolica della mia parrocchia quando avevo meno di dieci anni; e poi sono stato un dirigente regionale del movimento degli ex allievi salesiani. A seguito di una questione di salute di una persona cara, ho fatto il voto che non avrei più partecipato a competizioni elettorali per la conquista di cariche elettive. Non mi posso quindi candidare né per consigliere di quartiere né per presidente della Repubblica. Per darvi un’idea, fossi al posto di Sergio Mattarella dovrei dimettermi. È un vincolo che ho contratto con un’entità con cui non si gioca e non si scherza e quindi è insuperabile».

Dario De Luca

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