«A cu appatteni?» «Allo Stato». Filippo Casella, nel direttivo dell’associazione antiracket Asaec Libero Grassi, il 14 dicembre 2010, si è rifiutato di dare quattromila euro a due truffatori. Due giorni fa i due, Ettore Francesco Sconso e Orazio Cucchiara, hanno ricevuto in carcere le notifiche dei provvedimenti restrittivi disposti dal sostituto procuratore di Catania Angelo Busacca. Ma il primo a essere arrestato è stato Casella, l’uomo che li ha denunciati.
«Io mi occupo di trasporti e Sconso e Cucchiara si erano presentati, tempo prima, come clienti», racconta Casella. Quando uno dei suoi dipendenti è andato a consegnare loro i materiali ordinati, però, si è accorto che qualcosa non andava. «Hanno provato a saldare il conto con assegni fotocopiati, con l’inchiostro che ancora si perdeva». Era il 13 dicembre e, al rifiuto dell’uomo di accettare il pagamento, i truffatori hanno risposto il giorno dopo. Fallito il raggiro degli assegni falsi con i quali volevano comprare alcuni televisori a schermo piatto pretendevano il corrispettivo della merce in denaro. «Si sono presentati in ufficio da me alle 16 e hanno cominciato a minacciarmi, a dirmi che dovevo pagare ricorda l’imprenditore “Semu mafiusi, soddi non ni piddemu”, mi hanno detto». Allora Casella prende il telefono e chiama i carabinieri. «I due si sono arrabbiati, hanno visto l’adesivo di AddioPizzo e hanno cominciato a sostenere che io ero amico degli sbirri e che avrei dovuto dire prima che stavo con le associazioni, così non perdevano neanche quel tempo». All’interno dell’azienda di Casella, alla zona industriale, comincia una rissa. «Mentre mi picchiavano, sono riuscito a divincolarmi e a prendere la pistola che detenevo legalmente, sono uscito fuori e ho sparato alle ruote della loro macchina». Perché, spiega Casella, «non volevo che scappassero prima dell’arrivo delle forze dell’ordine».
Quando i carabinieri sono arrivati, hanno ascoltato Sconso e Cucchiara, e hanno accompagnato Casella all’ospedale per via delle ferite riportate durante la colluttazione. Finiti gli accertamenti, l’hanno arrestato, perché aveva sparato. E hanno lasciato a piede libero i due aggressori. Dopo tre giorni passati nel carcere di piazza Lanza, Casella è tornato in libertà, perché il giudice non ha convalidato il fermo. Anche se gli estorsori si sono presentati in aula, accompagnati da un avvocato, pretendendo che la loro vittima rimanesse in galera.
Fonti interne alla polizia giudiziaria che ha effettuato le indagini che hanno portato ai provvedimenti del 15 febbraio raccontano che Sconso era variamente indagato, e irreperibile per le forze dell’ordine, dal 2009. L’arresto, per una serie di altre truffe e tentativi di estorsione, è avvenuto a settembre 2011. Solo a quel punto, quasi un anno dopo essere finito in prigione, Filippo Casella ha riconosciuto il malvivente da una foto sul giornale ed è andato a denunciare quello che gli era successo. Le sue dichiarazioni, i video di sorveglianza che sono stati acquisiti dagli inquirenti e il lavoro della procura etnea si sono trasformati nelle ordinanze di custodia cautelare di due giorni fa. Però gli accertamenti continuano. Secondo gli inquirenti, il giro d’affari di Sconso è sostanzioso e non si limita a Catania. In più, ci sono da verificare i legami coi clan mafiosi etnei, all’interno dei quali potrebbe essere inserito Cucchiara, che è anche pregiudicato.
«È l’ennesima dimostrazione del fatto che denunciare conviene sempre», afferma Filippo Casella, convinto. Proprio lui, che nel 1998 ha conosciuto per la prima volta il racket del pizzo. «Ho pagato per due anni dice poi mi sono convinto che dovevo raccontare quello che m’era successo». Adesso, il suo ruolo all’interno dell’associazione antimafia di cui fa parte è quello di accompagnare gli imprenditori come lui dalle forze dell’ordine. «Tutti, dopo le denunce, mi ringraziano. Mi dicono “perché non l’ho fatto prima?”».
«Il fatto che Casella faccia parte della Libero Grassi interviene Linda Russo, presidente dell’Asaec non è la ragione per la quale è stato minacciato». E continua: «Nel settore dei trasporti, le richieste di pizzo sono all’ordine del giorno». Semmai, entrare in un circuito virtuoso e antimafioso può aiutare a evitare le estorsioni: «Un pentito ha detto chiaramente che un imprenditore dichiaratamente antiracket viene lasciato in pace». Perché chiedere soldi a lui è tempo perso, insomma. Sull’arresto di Filippo Casella, poi, non ha dubbi: «È stato un errore, ma non è abbastanza per perdere la fiducia nelle istituzioni e nella giustizia».
[Foto di Ariaski]
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