Racconto di un Erasmus in cerca di avventure: Dalla Cina con furore

Vivere in un Wohngemeinschaft è al contempo qualcosa di spassosissimo e di complicatissimo.

Si tratta di un modo in cui gli studenti condividono le spese d’affitto e in Germania è particolarmente in voga. Generalmente in Germania le stanze doppie o triple non esistono come per i poveri universitari italiani. Nella peggiore delle ipotesi le stanze che qui vengono condivise sono il bagno (eufemismo per dire “buco con doccia, WC e lavandino”) e la cucina (altro eufemismo per dire “magazzino di pentole-bicchieri-stoviglie passate dalla bocca di chissà chi, con annesso forno oppure microonde maleodorante e megafrigorifero che somiglia a un museo degli orrori).

Ma le Schlafzimmer, camere da letto, sono quasi sempre singole.

 

Caso volle che io capitassi in un WG con una ragazza tedesca innamoratissima dell’Italia e con due studentesse cinesi. E da lì sono iniziati i guai.

Prima di partire per la Germania uno pensa che la vita che starà per iniziare potrà essere troppo difficile, che ci potranno essere troppi contrasti, troppe differenze culturali con questi tedeschi, sconosciuti “vicini di casa”.

Dopo qualche giorno però si cambia totalmente modo di vedere questo Paese e la sua gente. Ci si accorge che non c’è una cosa alla quale non ci si possa abituare, che “noi” e “loro” vediamo la vita dalla stessa prospettiva e che persino la lingua inizia a entrarti nelle vene.

Inizi a contare i numeri in tedesco e solo dopo averlo fatto ti accorgi che non stavi pensando in italiano.

La mattina appena svegli non hai più paura di uscire dalla tua Schlafzimmer e di trovare qualcuno in cucina con cui dovrai per forza comunicare in tedesco, che ti piaccia o no, anche se ancora sei morto di sonno e a stento ricordi come ti chiami.

 

C’è un momento in cui ci si rende conto che la Germania in fondo è così vicina, siamo noi che per troppa riservatezza, o amor di patria, o forse stupidità l’abbiamo vista come estero.

La Germania non è estero per un italiano.

 

Lo è però per le mie coinquiline cinesi e per loro lo sono anche io.

La prima sera che mi sono trasferita in questo appartamento, dopo una settimana di pura tranquillità, ordine, igiene e rispetto trascorsa in un altro WG con coinquilini esclusivamente tedeschi, lì per lì non mi sono resa conto a cosa ero andata incontro.

Mentre cucinavo nel silenzio maggiore possibile un’insalata di carote, è entrata una di queste due studentesse cinesi, proprio con l’intento di vedere che stavo facendo e come lo facevo. Abbiamo iniziato a chiacchierare amabilmente e intanto mi chiedevo tra me e me chissà quale sforzo sovrumano lei stesse compiendo per parlare tedesco con un’italiana.

A poco a poco mi rendevo sempre più conto che più cercavo di essere simpatica, e più mi rendevo vergognosamente maleducata ai suoi occhi.

Quando poi mi ha comunicato la sua età, allora la scena ha avuto del comico. Ha detto di avere venticinque anni e io tuttora mi domando quale espressione avrò avuto in volto per lo stupore, dato che al massimo gliene avrei dati diciassette. Ma è stato solo dopo che, sorridendo beatamente (e stupidamente), le ho detto che per me ne dimostrava di meno, che allora le ho dato il colpo di grazia.

Si è offesa visibilmente e io sono rimasta là, con la mia carota in mano, bloccata da un equivoco che per me doveva essere persino un complimento.

Allora non ho potuto fare a meno di scusarmi e di spiegarle che quello che le avevo appena detto era inteso positivamente e che non volevo essere maleducata.

Abbiamo continuato a chiacchierare amabilmente, per mia fortuna come se nulla fosse, finché lei non ha introdotto il tema “cucina tedesca versus cucina cinese”. E io, allora, non solo ho continuato  a peggiorare le cose chiedendole se è vero che in Cina la gente mangia pure la carne di cane, ma mi sono pure dovuta sentire osservata come se venissi da Marte appena le ho detto che sono vegetariana.

 

Quando sono tornata nella mia stanzetta ho riflettuto su questi pasticci che stavo involontariamente combinando. Mi sono resa conto che questa ragazza viene da un posto da dove sono necessarie tredici ore di volo per arrivare qui, e non solo due misere orette e venti minuti come era stato nel mio caso.

 

E’ solo quando ci si confronta con realtà ancora più diverse che ci si rende conto che Germania e Italia non sono separate pressoché da nulla.

Ho iniziato a vedere la Germania con altri occhi, ad andare più in profondità.

Ho iniziato a lasciarmi andare a lei, a farmi totalmente assorbire, a farmi adottare e travolgere.

 

E finalmente ho iniziato a capirci qualcosa.

Silvia Tumino

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