«Raccontare la strada dal punto di vista di chi vive o ha vissuto in strada. Si tratta di un punto di vista alto e basso allo stesso tempo», così padre Valerio Di Trapani illustra l’essenza della redazione Telestrada. «Si guarda la storia e la realtà a partire dagli ultimi, a partire dai piedi che sono, poi, la parte del corpo più a contatto con la terra. I nostri redattori, inoltre, non hanno paura di usare le parole anche quelle più forti, e questo è sinonimo di liberta: le domande sono fatte per bisogno, per fame, per dolore, per compassione. Lo scopo è restituire la voce a chi è stata tolta», continua padre Valerio. «Questo è il modo di fare giornalismo di Telestrada». Un esempio tra i tanti: «il servizio sul terremoto in Abruzzo, girato a partire dalle macerie e dalle tende – racconta – perché è da lì che si deve ricominciare».
Da un punto di vista tecnico interviene Gabriella Virgillito, direttore responsabile di Telestrada: «È un’associazione mista e paritaria di volontari e senza fissa dimora, in cui non vi è nessuna categorizzazione. Si tenta di rimettere nelle loro mani il potere di comunicare». Si tratta di una redazione come tutte le altre, con ruoli e responsabilità ben definiti ma anche di «un progetto pilota con un linguaggio tutto suo e particolare», spiega la Virgillito che aggiunge poi: «La qualità stessa dei video, non brillante, può essere anche un segno di riconoscimento». A tal proposito interessante è l’intervento del professore Davide Bennato, docente di Comunicazione e analisi dei media che afferma: «La fruizione in movimento come veicolo per gente in continua instabilità è una dimensione molto forte e affascinante. Si potrebbe quasi parlare di un’antropologia della strada. Per quanto riguarda la cifra stilistica dei documentari, ci si trova davanti un’estetica a basso costo con delle sbavature che non fanno altro che rendere un mondo dove il tessuto sociale è sempre meno stabile».
Significativo anche l’intervento di Giuseppe Bucalo, presidente dell’associazione Penelope, che precisa: «E’ un problema complicatissimo, in quanto non si riuscirà mai a dare un letto o da mangiare a tutti perchè la povertà è proprio un problema materiale». E ancora sul problema differenze: «Non accetto, soprattutto, questa categorizzazione per cui il povero è buono e il resto è male. Non è così. I senza fissa dimora tentano di confrontarsi in maniera paritaria con le altre persone». A parlare è poi un’ospite in sala che aggiunge: «L’associazione Penelope mi ha davvero aiutata, quando non avevo più nessuno. Ma ora all’associazione serve un sostegno vero da parte di tutti. In questa sala stasera ci sarebbero dovute essere più persone, ma molte di più perché gli invisibili in Italia siamo noi».
La parola passa poi a Marco Belluardo, assessore alle politiche sociali, che ringrazia la Caritas e Telestrada, e illustra brevemente i progetti immediati e futuri dell’amministrazione. «E’ una strada in salita, lunga e tortuosa, ma sono già previsti diversi interventi: una mensa sociale e un centro di pronta accoglienza. Ovviamente non pretendiamo di risolvere il problema solo con queste iniziative. Importanti sono i servizi di Telestrada perché fanno informazione pura e necessaria».
Due dei tanti video realizzati da Telestrada e dai suoi redattori sono stati poi proiettati in sala. Il primo, “Avrò Cura di Te” racconta un viaggio per l’Italia alla scoperta di esperienze e organizzazioni che aiutano concretamente le persone emarginate dalla società, come l’associazione “Piazza Grande” di Bologna. Il secondo, invece, ci mostra il lavoro della Casa San Vincenzo di Catania: un dormitorio femminile gestito dalla Caritas che offre, non solo un letto e un pasto caldo, ma cerca anche programmi di reinserimento di queste donne in società.
«In questi video il messaggio è forte e viene recepito perché un messaggio passa quando c’è un emozione», commenta lo scrittore catanese Ottavio Cappellani. E ancora: «Non sono d’accordo con le parole del Preside quando dice che alla facoltà di Lettere si fa tutt’altra cosa rispetto alla Caritas. Credo, invece, che fare volontariato dovrebbe essere un corso perché insegna molto più dei libri».
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