Scuole militari: vocazione o ripiego?

Nonostante la leva sia ormai facoltativa, molti giovani continuano a intraprendere la carriera militare e a preferire le scuole e le accademie militari, che consentono accessi limitati, previa prova d’ammissione.

Perfino il numero di donne che fanno la richiesta presso queste scuole sembra essere in aumento.

Noi di Step1 ci siamo chiesti cosa potesse spingere giovani e giovanissimi, ragazzi e ragazze, a fare una scelta di questo tipo. Forse gli slogan che promettono “una scuola migliore per un futuro migliore”, sponsorizzando quella che definiscono una “scuola d’elite”? O semplicemente la prospettiva di un lavoro sicuro senza che questo abbia necessariamente una motivazione ideologica?

Siamo andati a chiederlo ai diretti interessati.

 

Quali sono le motivazioni della tua scelta? Hai mai avuto ripensamenti o la rifaresti senza pensarci?

Alessandro, 25 anni: “Ho fatto questa scelta perché è vantaggioso essere pagati per studiare. Certo, d’altra parte non c’è completa libertà, bisogna sottostare a delle regole, come per esempio rientrare non più tardi delle 00:30. Una vita di questo tipo per cinque anni pesa, ma si tratta di sacrifici che si fanno come investimento per il futuro”.

 

Mirko, 24 anni: “Molti lo fanno per i soldi, ma tanti altri, come me, credono in valori come la patria e la bandiera. Stare in paesi dove si combatte la guerra ti forma. Io partirei. Non ho ripensamenti: rifarei questa scuola perché forma la persona, anche la più scettica riguardo certi valori. Ovviamente è necessaria una predisposizione, tant’è vero che io desideravo farlo fin da bambino. Si fanno molti sacrifici e si lavora duro, ma il vantaggio è che quando esci sei una persona diversa. I miei quasi non mi riconoscevano quando sono tornato a casa!”.

 

Maurizio, 23 anni: “Ho fatto il corso A.u.c. (allievo ufficiale di complemento) per diventare pilota. Ho fatto solo quindici mesi in accademia, ma esclusivamente con l’intenzione di prendere il brevetto. Non avevo motivazioni di tipo ideologico.”

 

Emanuele, 24 anni: “Non ho nessun ripensamento. Inizialmente avrei voluto intraprendere la carriera militare, ma poi sono stato scoraggiato dal fatto che avrei dovuto trascorrere la vita in nave. Quindi ho abbandonato”.

 

Roberto, 27 anni: “Ho fatto l’accademia navale ma al secondo anno ho dovuto lasciarla perché non ho superato l’esame di analisi. Lì ti buttano fuori anche se vai male in una sola materia. La mia è una passione che coltivo sin da ragazzino, quindi la mia scelta è stata mossa da un desiderio personale. Se fosse dipeso da me non sarei andato via, anche se all’inizio è dura!”.

 

Pensi che una formazione di questo tipo possa in qualche modo indurre alla violenza?

Alessandro: “Non penso… parlare di violenza mi sembra eccessivo”.

 

Mirko: “No, non credo che in questi ambienti ci sia incitazione alla violenza. Certo, poi i fanatici ci sono dappertutto…”

 

Maurizio: “Non penso che questo tipo di formazione induca alla violenza”.

 

Emanuele: “No. Non credo ”.

 

Roberto: “Credo di no, perché la selezione è estremamente accurata, quindi non sarebbero ammessi personaggi violenti”.

 

Condividi il messaggio veicolato dagli slogan pubblicitari delle scuole militari, “Voglio una scuola migliore perché sogno un futuro migliore”, “Scuole militari: scuole d’elite”?

Alessandro: “Condivido appieno questi slogan, infatti abbiamo i migliori professori dell’università di Pisa. Inoltre siamo in pochi e quindi siamo seguiti al meglio”.

 

Mirko: “Si, è vero, chi frequenta queste scuole si crea un futuro migliore”.

 

Maurizio: “Per l’esperienza che ho fatto io durante quei quindici mesi, credo che gli slogan siano molto gonfiati”.

 

Emanuele: “Non credo che queste scuole possano promettere un futuro migliore. Tutt’al più un lavoro sicuro. Molti infatti vengono dal Sud, dove la disoccupazione è alta”.

 

Roberto: “In effetti non sono scuole come le altre. Il metodo didattico è molto diverso dalle scuole ‘normali’. Sono scuole d’elite anche perché il numero è limitato”.

 

I risultati della nostra inchiesta ci hanno lasciati sorpresi e alquanto perplessi… Se infatti nelle nostre università si organizzano dibattiti contro la guerra e manifestazioni pacifiste, dall’altra parte, in quella che sembra una realtà parallela, c’è chi crede e si batte per valori opposti.

In un’epoca in cui la tecnologia è sempre più schiava del terrore, nell’epoca delle armi di distruzione di massa e delle torture sul campo, all’interno di una realtà in cui la paura della guerra dovrebbe essere più forte che mai, c’è chi  la guerra decide di farla volontariamente. Per dovere o “per volere”.

Noemi Coppola

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