Quando in Sicilia Andreotti, Lima e il Pci

Se Amintore Fanfani era l’eterno “Rieccolo” (definizione di Indro Montanelli), Giulio Andreotti è stato l’inossidabile alfiere della Grande Dc. Un politico un po’ anomalo, un democristiano un po’ anomalo. Per lui il Partito, infatti, è sempre stato un mezzo, mai il fine. Un mezzo per raggiungere il potere e consolidarlo. Sempre fedele al suo celebre motto: “Il potere logora chi non c’è l’ha”.

Saranno altri commentatori a raccontare, di certo meglio di noi, l’Andreotti politico (è morto stamattina a Roma a 94 anni). Noi, in queste note, vogliamo ricordare, tra luci e ombre, alcuni aspetti di questo grande uomo politico.

Intanto il suo strano rapporto con il suo Partito, la Dc. Tra i grandi dello Scudocrociato Andreotti è, forse, l’unico a non aver mai cercato incarichi di Partito. Uno dei pochi grandi a non aver mai provato a diventare segretario nazionale della Dc: ruolo che non ha mai voluto ricoprire e che non ha mai ricoperto. Proprio mentre i suoi compagni di Partito si scannavano per acciuffare quella che veniva considerata la poltrona delle poltrone.

Ciò non significa che Andreotti non abbia coltivato il potere all’interno del proprio Partito. Tutt’altro. Anche perché, nella Dc contavano le tessere, ovvero i capi corrente. Senza tessere e senza una robusta corrente, nello Scudocrociato si restava fuori dal grande giro. Questo Andreotti lo sapeva bene. Anzi, benissimo. E i suoi guai, come ora proveremo a raccontare, nasceranno proprio dall’esigenza di avere una corrente forte e radicata. Anche in Sicilia.

Senza una forte corrente di Partito alle spalle – senza capi corrente alla Salvo Lima – Andreotti non sarebbe mai diventato il grane uomo politico che è stato. E, forse, non avrebbe occupato per sette volte la poltrona di Presidente del Consiglio dei Ministri.

Di Andreotti tutti ricordano il processo di Palermo. La sua assoluzione in primo grado. E l’assoluzione a ‘coda di topo’ in secondo grado. Quando i giudici stabiliscono che fino al 1980 Andreotti aveva ‘mafiato’ almeno un po’. Per poi pentirsene e diventare, addirittura, un coraggioso avversario dei mafiosi tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ‘90. Ovviamente – il processo è andato a sentenza alla fine degli anni ’90 del secolo passato – i reati contestati al Senatore a vita prima del 1980 erano andati prescritti.

Una sentenza storica che, alla fine, salva cerchio e botte: salvo il lavoro della Procura della Repubblica di Palermo retta in quegli anni da Giancarlo Caselli; e salvo anche Andreotti (a destra in una foto con Salvo Lima: tratta da gionalettismo.com)

E’ chiaro che circoscrivere la storia di Andreotti al suo rapporto con la Sicilia è riduttivo e ingeneroso. Se noi lo facciamo, beh, non è perché vogliano a tutti i costi ‘sicilianizzare’ Andreotti, ma perché, avendo vissuto in Sicilia – prima da ragazzi e poi da giornalisti – l’avventura siciliana di Andreotti, è giusto raccontare i nostri ricordi.

Di Andreotti, per esempio, non si parla molto negli atti della prima Commissione parlamentare d’inchiesta nazionale sulla mafia. Quella, per intendersi, che il Parlamento nazionale istituisce nel 1962. Una Commissione che concluderà i propri lavori nel 1976.

Ma se non si parla molto di Andreotti, si parla invece tanto di un uomo che è stato il simbolo dell’andreottismo siciliano: Salvo Lima.

Alla corte di Andreotti, Lima finisce per caso. E precisamente quando, alla fine degli anni ’60, da candidato alle elezioni politiche nazionali, contravvenendo alle indicazioni del suo capo corrente dell’epoca, Giovanni Gioia, prende più voti dello stesso Gioia. Un affronto!

Uno sgarbo che Gioia non poteva certo tollerare. E’ allora che Andreotti inquadra subito Lima, che era già stato, per lunghi anni, Sindaco di Palermo. Andreotti capisce che, con Lima in squadra, ‘acquista’ un centravanti che gli farà vincere un sacco di ‘scudetti’ in Sicilia e a Roma. ‘Scudetti’, ma anche qualche problemino…

Già allora Andreotti sapeva che Lima era ‘chiacchierato’ per strani rapporti con uomini dell’onorata società? E’ probabile che qualcosa sapesse. Ma è altrettanto probabile che non ci facesse molto caso, anche perché, alla fine degli anni ’60, di mafia si parlava poco.

Il rapporto politico tra Andreotti e Lima non verrà mai meno. Si interromperà bruscamente il 12 marco del 1992, quando Lima verrà ammazzato lungo i viali di Mondello, a Palermo.

Lima, lo ripetiamo, resterà andreottiano a vita. Sarà l’uomo di Andreotti in Sicilia per antonomasia. Nessuno, nell’Isola, più di lui e meglio di lui, interpreterà, anzi, incarnerà il sistema di potere andreottiano in Sicilia.

Forse, l’unico che, nel ‘complicato’ mondo andreottiano siciliano, potrebbe paragonarsi un po’ a Lima è “L’ingegnere” di Catania, ovvero Nino Drago, leader indiscusso degli andreottiani catanesi. Ma Drago, benché intelligentissimo, non arriverà mai ai livelli ‘andrettionistici’ di Lima.

Qualcuno ha rimproverato ad Andreotti i rapporti anche con Vito Ciancimino (nella foto a destra). Secondo noi è una forzatura. E’ probabile che il sette volte Presidente del Consiglio abbia incontrato Vito Ciancimino. Ma da qui a dire che l’uomo dei corleonesi era vicino ad Andreotti ne corre. Anche perché i rapporti tra Lima e Ciancimino non sono mai stati ‘fraterni’. Tutt’altro.

Quando Lima era Sindaco di Palermo, Ciancimino era l’assessore comunale ai lavori pubblici. E il dominatore incontrastato del ‘cemento’ inteso come la negazione dell’urbanistica. I due, allora, non andavano d’accordo. Spesso per motivi non esattamente ‘nobili’. Ma non andavano d’accordo. A noi, almeno, Ciancimino non è mai sembrato un andreottiano.

Andreotti è stato chiamato in causa anche per la morte di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione siciliana ucciso il 6 gennaio del 1980. A distanza di tanti anni – questo è il nostro giudizio – la morte di Mattarella non è del tutto chiara. Rimangono ancora ombre.

C’entra Ciancimino? C’entra la mafia trapanese? Le due piste non si escludono a vicenda? Di certo Lima non sembrava un avversario acerrimo di Mattarella. Anzi.

Qui va fatto un passo indietro. Per raccontare che Andreotti, fautore e protagonista del “Compromesso storico” (leggere accordi tra Dc e Pci) e dei “Governi di solidarietà nazionale”, l’incontro tra democristiani e comunisti lo inizia a mettere in atto proprio in Sicilia, con un anticipo di quattro-cinque anni rispetto allo scenario nazionale.

E’ Andreotti che, nella prima metà degli anni ’70, dà mandato al suo capo corrente in Sicilia di ‘avvicinare’ i comunisti: quei comunisti siciliani all’epoca guidati da Achille Occhetto. I comunisti, chissà perché, non vogliono mai parlare di certi passaggi del proprio passato. I comunisti siciliani, poi, è come se si vergognassero di aver stretto rapporti politici con i democristiani di Salvo Lima. Hanno ‘rimosso’ questa parte della propria storia politica.

Ma la storia è lì, non può essere smentita. Può essere scritta male dagli storici, che in Italia sono ‘specializzati’, quando vengono sollecitati’, a nascondere certi fatti e a ‘pomparne’ altri (basti leggere i tanti falsi storici sul Risorgimento in Sicilia e, in generale, nel Sud). Ma la storia tutto sommato recente non può essere nascosta.

Non può essere nascosto che, per cinque-sei anni, in Sicilia, gli interlocutori del Pci siciliano sono stati i democristiani di Salvo Lima, con la ‘benedizione’ di Andreotti. Nemmeno Rosario Nicoletti, allora segretario della Dc siciliana – che, detto per inciso, era molto meno ‘filosofo’ di quanto provasse ad apparire e molto più uomo di potere – nemmeno Nicoletti, dicevamo, si ‘sbracava’ con il Pci come, invece, si ‘sbracavano’ gli andreottiani di Sicilia: insomma, nell’arte dello ‘sbracamento’ con il Pci gli andreottiani siciliani erano imbattibili e, soprattutto, molto apprezzati dagli stessi comunisti, a Palermo come a Roma…

‘Sbracamenti’ all’Assemblea regionale siciliana con gli “Accordi di fine legislatura” tra Dc e Pci (che i maligni chiamavano “I grandi appalti di fine legislatura”). ‘Sbracamenti’ nelle amministrazioni provinciali (a cominciare da quella di Palermo). ‘Sbracamenti’ nei Comuni (a cominciare dal Comune di Palermo).

Chissà perché di questa fase politica, durante il processo ad Andreotti, non si è mai parlato. Chi scrive ha sempre pensato che l’omicidio Lima abbia finito per condizionare quello che poi sarebbe stato il processo Andreotti. Perché se c’era un uomo politico, in Sicilia, in grado di raccontare, per filo e per segno, che cosa è stato il sistema di potere di Andreotti nell’Isola, ebbene, questo era proprio Lima.

L’ex Sindaco di Palermo avrebbe potuto raccontare tante cose. Di certo non avrebbe raccontato tutto. Ma avrebbe potuto ‘illuminare’ una certa, strana ‘antimafia’ vista dalla sua parte: o meglio, dalla parte della sua corrente.

Spiegando, ad esempio, una strana coincidenza alla quale in pochi hanno fatto caso: e cioè che gli anni in cui Andreotti è stato accusato di colludere con la mafia sono gli anni, guarda caso, in cui gli andreottiani di Sicilia ‘chiudevano’ accordi con il Pci siciliano.

Con la morte di Lima queste semplici constatazioni di un semplice cronista politico non sono entrate nel processo Andreotti. E, forse, non entreranno nemmeno nella storia. Chissà chi ne ha tratto e ne trarrà giovamento.

Giulio Ambrosetti

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