«Essere femminista oggi è come inserire anacronismo a caso». L’altra sera un conoscente s’è messo a ridere quando gli ho presentato un’amica come «una femminista convinta». «Che senso ha oggi esserlo?», ha domandato. Io non ho risposto. Probabilmente perché se hai poco più di vent’anni è raro che tu ti senta discriminata. Tendi a passarci sopra. Sull’addetto stampa che parafrasa Berlusconi e ti definisce «tanto brava quanto bella», e non saprai mai che voleva dire. Sul collega che allude al fatto che tu abbia una notizia e lui no perché tu hai sorriso, hai fatto l’ammiccante.
Sulla tizia – sì, una donna – che è convinta che fare il telegiornale significhi ripetere a memoria con un po’ di trucco in faccia cose scritte da altri. Dicevo, di tutto questo non ti accorgi. Perché è normale, come mettere il pecorino sull’amatriciana. E non è colpa dei maschi brutti e cattivi che hanno sempre la bava alla bocca del gatto che osserva il topo. È solo che ad alcune di noi piace. E considerare una parte per un intero è una figura retorica che riscuote – da sempre – un grande successo. Poi, possiamo discutere su quanto questo sia ingiusto, ma non è il punto. Il punto è che finché la festa della donna ci andrà bene saremo le fautrici di quelle discriminazioni che ci piacerebbe tanto combattere. Se, per cominciare, fossimo in grado di riconoscerle.
[Articolo del Corriere della Sera ]
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