Quando il cibo a domicilio fa rima con un lavoro senza tutele Cgil incontra riders palermitani: «All’oscuro dei propri diritti»

Guadagnano 3 euro e 50 centesimi a consegna. Al netto delle spese. Motorino, bici, casco e benzina sono a spese loro. Se perdono la pizza – o qualsiasi altro cibo che portano direttamente nelle case delle persone – o se il cliente reclama ritardi e inefficienze, pagano di tasca propria. Sono i riders, da qualche giorno i lavoratori più chiacchierati. Un tempo si chiamavano fattorini, ma anche la loro denominazione si è adeguata al food delivery (i servizi online di consegne alimentari). A Palermo, secondo le stime della Cgil, sono circa 300: una settantina quelli di social food, poi glovo, justeat, prestofood e altri ancora. E mentre i nomi delle aziende diventano sempre più familiari nelle case del capoluogo siciliano, per conoscere i lavoratori e per farsi conoscere Nidil, Cgil Palermo e Filt Cgil si sono ritrovati mercoledì 1 agosto in via Catania, al civico 168. 

La sede di social food è allo stesso tempo il punto di raccolta dei riders prima di effettuare le consegne a domicilio dai ristoranti. Qui i sindacati hanno distribuito materiale informativo e ascoltato le esigenze dei ragazzi e delle ragazze, in gran parte giovani tra i 18 e i 25 anni, che hanno un semplice contratto da co.co.co. Ovvero collaboratori coordinati e continuativi: vale a dire lavoro a cottimo, condizioni di lavoro difficili (a partire dalla sicurezza), tutele quasi nulle. È il quadro che viene fuori dal racconto di Andrea Gattuso, segretario di Nidil Cgil Palermo, che da tempo si batte a sostegno della nebulosa galassia del mondo precario e iperprecario del capoluogo siciliano. E che nella propria sede intende accogliere i riders con uno sportello dedicato a tutela dei loro diritti.

«Non hanno neanche una tutela sugli infortuni – dice Gattuso -, solo un’assicurazione Inail ma non contro terzi. In sostanza non viene riconosciuta neanche la responsabilità civile dell’azienda, che invece dovrebbe contribuire a fornire ad esempio dispositivi di sicurezza come pettorine e caschi». L’incontro tra i rappresentanti dei lavoratori e i fattorini – che finora hanno preferito al massimo forme spontanee di autorganizzazione – si è trasformato, secondo lo stesso Gattuso, in «un’assemblea improvvisata»: segno che di diritti finora si è parlato poco all’interno del mondo del food delivery, dove invece prevalgono competizione e individualismo. «Erano abbastanza all’oscuro di quello che gli spetta – conferma il segretario Nidil -. E probabilmente, complice la giovane età, hanno un’impostazione di pensiero per cui basta unirsi al massimo tra di loro per ottenere garanzie. Mentre serve anche l’assistenza di chi conosce le regole del gioco, cioè leggi e dispositivi. Quello che abbiamo proposto loro, ad esempio, è di chiedere l’applicazione del contratto collettivo nazionale: esiste, è quello della logistica, e mette a norma tra le altre cose tabelle contributive e orari. Speriamo che facciano una rivendicazione su questo, oltre a chiedere l’assicurazione contro terzi». 

Anche perché, da lavoretto stagionale o col quale mantenersi gli studi (o tutt’al più “i vizi), quello dei riders è diventato sempre più un vero e proprio stipendio. «Ci sono persone che lavorano ogni giorno e che, riuscendo a effettuare dieci consegne quotidiane, tra pranzo e cena riescono a tirare su mille euro. Sempre al netto delle spese, ovviamente». Una delle prime mosse del governo Lega-5stelle, in special modo del vicepremier Luigi Di Maio, è stato proprio l’incontro coi riders al tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico. Segno che la cosiddetta gig economy (ovvero l’economia dei lavoretti in salsa digitale) incide sempre più nella vita delle persone. Ma finora, secondo Gattuso, non si è andato molto oltre. «C’è attenzione, e questo è importante, ma ci aspettiamo passi concreti – continua -. Non mi pare che il governo nazionale oltre all’ascolto abbia fornito chissà quali proposte. Non vorremmo che si creassero contratti ad hoc per singole categorie di lavoratori, ma chiediamo contratti collettivi nazionali. A partire dal decreto dignità, dal quale attendiamo un intervento complessivo. Altrimenti si rischia di creare ancora più confusione in un mondo già molto parcellizzato». 

Andrea Turco

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