Qualche ricetta per salvare l’Autonomia

Ieri il nostro Ignazio Coppola ha lanciato una proposta culturale e politica: la riunificazione di tutti i Movimenti autonomisti, sicilianisti e, perché no?, anche indipendentisti. L’obiettivo è quello di arrivare uniti alle ormai imminenti elezioni regionali. L’articolo – com’è giusto che sia in democrazia – ha ricevuto plausi e critiche. Tutto previsto.

La critica che, forse, ci è sembrata non centrata è che la linea del nostro giornale sarebbe stata spostata verso l’Autonomia. Ora, il nostro giornale non è diventato autonomista, ma è nato come strumento di informazione per difendere l’Autonomia siciliana. In questa affermazione non c’è tanto e soltanto il messaggio culturale e politico di una stagione importante – da Errico La Loggia a Giuseppe Alessi e, in generale, a tutti i ‘Padri’ dell’Autonomia siciliana, compresi, ovviamente, quelli che hanno preceduto la stagione del secondo dopoguerra – ma c’è anche un legame profondo con l’unica cosa seria che è ormai rimasta dell’Unione Europea: l’idea che la stessa Unione sia costituita proprio dalle Regioni.

Non è un caso se l’Unione Europea, nella gestione dei fondi strutturali abbia pensato prima alle Regioni ad obiettivo 1 e, adesso, alle Regioni a obiettivo convergenza. Nonostante il pesante ‘inquinamento’ massonico e finanziario (dove per ‘finanziario’ s’intende la finanza speculativa, l’unica che oggi opera in Europa e nel mondo) subìto negli ultimi quindici anni dall’Unione Europea, questa istituzione, ormai degradata dalla megalomania dell’euro che avrebbe dovuto soppiantare il dollaro (si è visto com’è finita: con gli americani che hanno esteso la propria influenza militare in Tunisia, in Egitto, in Libia e, tra poco, anche in Siria), resta comunque ancorata a qualche idea forte: per esempio, le Regioni.

Difendere, oggi, le Regioni – e l’Autonomia delle Regioni – significa salvaguardare, in primo luogo, quel poco di Unione Europea seria lasciataci in eredità dagli Altiero Spinelli e dai Gaetano Martino.

E’ in questo scenario che noi inseriamo la Sicilia con la sua Autonomia speciale, Autonomia che va difesa. Ma difendere l’Autonomia siciliana -questo non finiremo mai di ripeterlo – non significa difendere l’attuale classe dirigente e, soprattutto, l’attuale classe politica.

Ieri, per esempio, come abbiamo riportato sul nostro giornale, il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, si è reso protagonista di una mezza marcia indietro sul rigassificatore di Porto Empedocle che il suo Governo, nell’agosto del 2009, ha avventurosamente autorizzato. Forse, in queste ore, Lombardo sta pensando che se nella sua esperienza di Governatore della Sicilia avesse avuto, in giunta, qualche grand commis in meno e qualche autonomista in più avrebbe raggiunto risultati amministrativi migliori. Invece, come del resto quasi tutti i suoi predecessori, all’autonomismo ha preferito l’affarismo, al potenziamento di una vera economia fondata sul sistema di imprese ha preferito l’assistenzialismo, tra precari, società collegate alla Regione e altre clientele varie.

Oggi la Regione siciliana è in grande difficoltà. Al default del bilancio di competenza – che a nostro avviso è maggiore di 5 miliardi di euro – si sommano i problemi di ‘cassa’. Sono problemi di ‘cassa’ e non default. Il default di ‘cassa’ – o bancarotta, per usare una parola più cruda – arriverà nel gennaio del prossimo anno, se la Regione deciderà di rinnovare i contratti ai 22 mila precari degli enti locali siciliani. E’ bene che questi 22 mila soggetti lo sappiano, se ancora la cosa non gli è stta comunicata: a partire dal prossimo 1 gennaio 2013 la Regione siciliana non avrà più in ‘cassa’ i soldi per pagare loro gli stipendi. E, se proprio la dobbiamo dire tutta, non ci saranno nemmeno le condizioni giuridiche per prorogare i loro contratti.

Ora questi lavoratori si incazzeranno e stramalediranno il nostro giornale, che ha solo la colpa di descrivergli, con cinque mesi e mezzo di anticipo, quello che succederà.

E vi diciamo di più: a gennaio le strade possibili, per questi 22 mila lavoratori, saranno tre: 1) la Regione si accolla di pagare questi 22 mila lavoratori aumentando tasse e imposte ai siciliani; strada che a noi sembra impercorribile, perché i siciliani, al pari degli altri italiani, sono ormai tartassati dal Fisco; 2) lo Stato tira fuori i soldi per il resto degli anni; 3) non rinnovo dei contratti per questi 22 mila precari.

Detto questo, siamo arrivati al punto dolente della vincenda autonomista. Oggi la Regione siciliana paga lo stipendio a oltre 115 mila soggetti. Una follia se si pensa che la Regione Lombardia – che non ha meno abitanti della Sicilia e fornisce ai cittadini lombardi servizi di gran lunga migliori di quelli che offre la Regione siciliana – opera con 11 mila dipendenti. E non ci vengano a dire, per cortesia, che la Regione siciliana gestisce compeenze aggiuntive rispetto alla Lombardia: queste competenze aggiuntive, dovute, appunto, al fatto che la Sicilia è una Regione autonoma giustificano 5-6 mila dipendenti in più, non centomila dipendenti in più!

Oggi, cari amici autonomisti, è inutile girarci attorno, l’Autonomia siciliana è stata ridotta a uno ‘stipendificio’ con spaventose aree dove a trionfare è il favoritismo. Siamo l’unica Regione – non italiana, ma nel mondo – ad avere una ‘terza fascia’ di dirigenti, creata con la legge regionale numero 10 del 2000. Con questa legge – approvata dal nostro Parlamento in forza della nostra Autonomia – ci siamo fatti ridere dietro dal mondo intero, creando in una notte 2 mila dirigenti! E ce ne sono ancora 400 o 500 che da oltre quindici anni le stanno provano tutte per diventare anche loro dirigenti! Appoggiati sempre da Sala d’Ercole, che ha provato più volte a ‘promuovere’ sul campo altri dirigenti: e se non c’è riuscita lo dobbiamo all’intervento del commissario dello Stato.

E che dire dei dirigenti generali? Lo sapete quanti dirigenti generali in pensione paga la Regione siciliana? Già, perché forse non tutti sanno che la Regione non ha un Fondo pensioni, ma tutte le pensioni sono a carico del bilancio. Nel 2009, in verità, l’attuale Governo ha ricostituito il Fondo pensioni (che era stato ‘cassato’ alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso dal Governo di Piersanti Mattarella quando i dipendenti regionali erano mille e 900 circa). Ma non lo ha mai correttamente ‘alimentato’, perché ha preferito spendere i soldi per alimentare le clientele. Con il risultato che il trasferimento dei pensionati dal bilancio regionale al Fondo pensioni – che sarà comunque un processo graduale – è solo iniziato.

Ebbene, sapete quanto si porta a casa, ogni mese, un ex dirigente generale della Regione siciliana? Un sacco di soldi. Altro che metodo contributivo!

A conti fatti, tra dipendenti e pensionati l’Autonomia siciliana è diventata difficile da gestire. Diciamocelo chiaro: da anni vige una sorta di patto scellerato tra Stato e Regione: lo Stato non eroga alla Sicilia (e probabilmente a quasi tutto il Sud) i fondi ordinari; in cambio, le Regioni del Sud si tengono i fondi europei, che ormai sono ‘strutturali’ non come li intende Bruxelles, ma sono ‘strutturali’ perché vengono assicurati alle Regioni del Sud Italia – Sicilia in testa – ben sapendo che non sono aggiuntivi rispetto a quelli dello Stato e ben sapendo che serviranno non a realizzare infrastrutture e a far crescere il reddito medio dei siciliani, ma a organizzare clientele.

Il ‘Patto, insomma, è stato il seguente: Roma si tiene i fondi ordinari (e in buona parte anche le risorse Fas, che sono fondi straordinari) e la classe politica siciliana, invece di pensare a creare economia vera, irrobustendo il sistema delle imprese, assume senza concorso nella pubblica amministrazione migliaia di persone, prima con le cooperative giovanili e, da quindici anni a questa parte, con i precari ‘stabilizzati’. I quali, in cambio del lavoro ottenuto bypassando il concorso pubblico, sostengono il sistema politico con il voto.

Il risultato, come già accennato, è che siamo arrivati a una Regione con oltre 115 mila dipendenti: cosa, questa, che non è più finanziariamente sostenibile.

Con l’arrivo del Governo Lombardo, nel 2008, la situaziione è peggiorata: non solo non sono arrivati – com’era previsto e ‘pattuito’ – i fondi ordinari dello Stato, ma non siamo riusciti nemmeno a spendere i fondi europei. Se a questo aggiungiamo il Governo Monti e la sua dissennata politica economica,non c’è da stupirsi se la Sicilia è cresciuta a dismisura la povertà.

Ora, pensare di continuare a difendere l’Autonomia siciliana con questa classe politica e con questo sistema di gestione dell’economia è una follia. Anzi, è impossibile, perché non ci sono più le risorse finanziarie. Serve un’inversione di rotta. Serve una classe politica che rompa questo ‘Patto scellerato’ con Roma, interrompa il gioco al massacro con il precariato, chieda a Roma i fondi ordinari dello Stato e spenda i fondi europei – che dovranno essere aggiuntivi e non sostitutivi rispetto a quelli dello Stato – per la realizzazione di infrastrutturee per creare nuove imprese produttive.

Solo così, a nostro modesto avviso, si può salvare l’Autonomia siciliana. Altre strade non ne vediamo.

 

Giulio Ambrosetti

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