I rappresentanti dei partiti amano ripetere che la discussione sulla legge elettorale non interessa i cittadini comuni e resta, pertanto, appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori. Non esiste, in democrazia, un convincimento più infondato e cretino di questo. Costoro, forse, con questa litania, vogliono allontanare sempre più l’interesse della pubblica opinione dalla politica e dai suoi meccanismi di sistema. Trascurano, costoro, che il cittadino è il titolare dell’elettorato attivo e loro, i politici, specialmente se sono candidati, rappresentano l’elettorato passivo.
Questo dettaglio, volutamente trascurato, ha consentito persino agli eletti di farsi una legge che li premia con un congruo numero di parlamentari in più rispetto ai voti ottenuti, senza che nessun elettore abbia ritenuto di attribuire loro alcun premio di merito. A questo punto arriva l’arroganza ‘democratica’ dei rappresentanti della politica nostrana. Trascurano, costoro, che nella storia della Repubblica democratica italiana c’è stato un tentativo – sicuramente più nobile di quelli messi in atto in tempi recenti – che fu sconfitto dalla pubblica opinione ed accantonato frettolosamente: la legge truffa del 1953.
In questi giorni si torna, finalmente, a riparlare della nuova legge elettorale e, per fortuna, con una nuova propensione per il sistema proporzionale, che meglio di ogni altro dà concreta espressione alla rappresentanza popolare, e senza il vincolo preclusivo della piena adesione al voto rappresentato dalle coalizioni prestabilite, che costituiscono la remora principale della partecipazione al voto da parte dei cittadini. Ciò per il fatto che tra il cittadino-elettore e lo schieramento preordinato non c’è alcuna identificazione e quindi si verifica il fenomeno dell’astensione dal voto, per la ragione che le coalizioni preordinate inducono al voto a dispetto (voto l’uno perché nutro antipatia per l’altro e quindi scelgo il meno peggio o mi astengo).
La scelta ‘proporzionalista’ fa giustizia di questa anomalia che appartiene alla cultura anglosassone parecchio distante dalla nostra. Né vale lo slogan secondo il quale con le coalizione preordinate il cittadino elegge sia il governo che il programma, perché questa verità è stata smentita dall’esperienza di questi ultimi quindici anni e poi è innaturale rispetto alla logica stessa del sistema bipolare. Questo, infatti, propone in sede elettorale due progetti di governo antitetici che, nella pratica quotidiana, vengono accantonati per il prevalere degli interessi degli ambienti cosiddetti centristi, cioè quegli ambienti che non vogliono alcun cambiamento e tanto meno che si mettano in discussione i loro privilegi, piccoli o grandi che siano. Il sistema bipolare infatti è tendenzialmente centrista perché l’unica variabile della loro maggioranza elettorale è rappresentata dall’elettorato centrista, cioè dall’elettorato contrario a qualsiasi riforma. A parte la considerazione più politica che ha visto la politica dei fronti contrapposti legata storicamente alla divisione del mondo nelle aree d’influenza nate dall’accordo di Yalta, ormai sepolte nella memoria della storia.
La riapertura del dibattito sul proporzionalismo ci riporta l’espressione più alta della democrazia e del pluralismo politico e culturale, nonché allidentificazione dell’elettore al partito che egli ritiene più vicino ai propri iinteressi: elemento, questo, che porta gli stessi cittadini a riconciliarsi con la politica.
Resta il fattore governabilità. Anche qui è bene sfatare la leggenda che il sistema bipolare serva a garantire la governabilità. Tesi falsa. E quanto sia falsa l’abbiamo visto durante tutto il percorso della cosiddetta Seconda Repubblica: non solo la stabilità dei governi è stata un optional precario, ma le stesse omogeneità sono state assolutamente inesistenti, anzi hanno dato luogo al formarsi di piccoli e piccolissimi aggregati parlamentari che non erano presenti nella presentazione agli elettori e, tuttavia, beneficiano delle agevolazioni finanziarie pubbliche destinate ai rimborsi elettorali. Un papocchio indecente.
E’ bene, invece, che le coalizioni di governo si formino in parlamento a seguito del responso delle urne dove è possibile valutare l’esito del voto, senza preclusioni aprioristiche e senza chiusure ideologiche. Questa, a nostro parere, è l’essenza stessa della democrazia in uno Stato libero e laico. Il dibattito è aperto, non lasciamo all’esclusiva competenza della politica un argomento che ci vede come cittadini titolari del diritto dell’elettorato attivo assenti dalle scelte di sistema.
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