Professione donna: i limiti e le speranze attuali

Donne, giornalismo e più in generale mondo del lavoro. Una tematica vasta e complessa che tocca ogni angolo della terra e ogni dimensione professionale: dalle redazioni ai vari parlamenti del mondo, a qualsiasi altro settore; la condizione femminile in ambito lavorativo non gode di ottima salute. Ancora oggi per le donne, le difficoltà nell’intraprendere una carriera o nell’accedere ad incarichi più alti ed importanti rispetto ai colleghi uomini sono tante.

Abbiamo chiesto a Maria Pia Farinella, caporedattore Rai, presidente CPO Assostampa Sicilia e consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, di parlarci della sua esperienza e del suo punto di vista in merito ad alcune problematiche comuni a tutte le donne.

 

Stampa, media e giornalismo in Sicilia: si parla di un regime “monopolistico” dell’informazione. Le donne qui non riescono ad emergere e a volte riescono invece a fare carriera altrove, in altre redazioni, lontane dalla propria terra. Perché?

Perché qui le condizioni oggettive sono più dure che altrove: il mercato è più angusto, c’è un minor numero di lettori, si vendono meno copie e di conseguenza fare carriera per le donne è più duro che altrove.

 

Com’è stato per lei? Può parlarmi della sua carriera?

L’ università e la Spagna mi hanno aperto le porte del giornalismo. Le spiego il perché. Ho due lauree e soprattutto ho conseguito un master in Spagna, dove ho avuto la possibilità di essere testimone diretta della “transizione” politica spagnola, dopo la morte di Franco nel ’75. Ho vissuto prima a  Salamanca, e poi dal 1978 all’81 a Madrid, dove ho lavorato come ricercatrice con una figura simbolo della vita politica ed intellettuale spagnola: il professore Enrique Tierno Galvan, che divenne anche sindaco di Madrid nel ’79, quando si tennero in Spagna le prime elezioni del postfranchismo. Il fatto di essere testimone diretta di tutto ciò mi ha permesso di iniziare a collaborare con i giornali siciliani ed in particolare con il “Giornale di Sicilia”, il quotidiano della mia città, su temi che riguardavano la Spagna. Questo mi ha permesso di farmi notare in tempi in cui il mercato editoriale era diverso da quello di oggi. A poco a poco ho cominciato a partecipare alla vita di redazione del Giornale di Sicilia, fino a diventare giornalista professionista. Ricordo anche che dal 1982 al 1985 già realizzavo, per la sede regionale di Rai Sicilia e per programmi nazionali di Radio Rai quali “Il paginone” di Radiouno, reportage di argomento, per così dire, “spagnolo”. Dal Giornale di Sicilia sono passata alla Rai, dove sono diventata caporedattore nel’ 92 a Roma. Oggi sono responsabile di Riva Sud, settimanale di economia della Testata giornalistica regionale. Sono anche consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, la prima donna eletta in Sicilia. Festeggio le nozze d’argento con la professione pensando che ho avuto la possibilità – e mi ritengo fortunata –  di realizzare inchieste e reportage per la carta stampata e per la tv in Europa, Medio Oriente, Maghreb, nell’Africa subsahariana, negli Stati Uniti e in America latina. Ho realizzato per la Rai dieci documentari di durata variabile da mezz’ora ad un’ora.

 

I temi?

Esteri, cultura e società, dalla guerra endemica in Etiopia ai bambini di strada in Camerun, passando per i grandi temi siciliani come l’Autonomia o la letteratura. Su Leonardo Sciascia,  ho realizzato nel ’92 un documentario, il primo e l’unico prodotto interamente dalla Rai. Ma il bello di questo mestiere è che non è monotono. Ho intervistato il presidente della Repubblica Sandro Pertini o il leader israeliano Shimon Peres, così come ho parlato coi lebbrosi in Africa.

 

Quanto e cosa è cambiato nei confronti delle donne nel corso del ventesimo secolo? E quanto, negli ultimi quarant’ anni, i movimenti femministi hanno contribuito a dimostrare l’importanza e la giustizia verso le donne?

A mio giudizio, la più grande rivoluzione culturale del secolo in Occidente è stata la fine dell’ “apartheid” basato sul “gender” che legava le donne al focolare e gli uomini all’esterno, al mondo del lavoro. Il ventesimo secolo sancisce la fine di questi due ruoli statici e condizionati, con un processo lento, ma inesorabile, in tutti i campi professionali. Gloria Steinem, scrittrice e leader femminista che vive a  New York, ha scritto in un editoriale per il londinese The Guardian: “Feminism is hardly begun”. Cioè, non è neppure cominciato. Spiega che la vera rivoluzione è che oggi il femminismo non è fatto più da “tre pazze a New York” ma che più del 60 per cento degli abitanti degli Stati Uniti si definisce etimologicamente femminista. Questo sarà il secolo delle “genuine choices”, cioè delle scelte vere e autentiche, del riconoscimento dell’importanza del punto di vista femminile.

 

Parlare di “quote rosa” e “pari opportunità” al giorno d’oggi sembra assurdo, ma è un dato di fatto. Secondo lei è un obiettivo possibile incrementare il numero delle donne lavoratrici nei vari ambienti professionali? Se si, cosa si può fare concretamente?

Purtroppo si parla di “pari opportunità” perché non esistono. E’ una tautologia, ma se c’è la necessità di un ministero per le Pari opportunità è perché di fatto non ci sono opportunità pari tra donne e uomini. In nessun campo. Lo dimostrano le statistiche. Limitiamoci al giornalismo. Secondo i dati dell’Ordine nazionale dei giornalisti e del nostro istituto di previdenza, Inpgi, il 50 per cento dei praticanti che si presenta all’esame di Stato per l’accesso professionale è donna. Ma la presenza femminile non raggiunge il 30 per cento nelle redazioni, con prevalenza di redattori ordinari. Alla Rai, la più grande azienda editoriale italiana, al momento c’è un solo direttore donna. Bisogna tenere presente, però, che l’ingresso massiccio delle donne nel giornalismo è recente, soprattutto a partire dai primi anni Novanta. Un fenomeno collegato anche alla nascita delle scuole di giornalismo. Praticare politiche di pari opportunità, previste – peraltro – per legge, serve a “scardinare” in questa fase storica il meccanismo che tende a relegare le donne ai margini della vita lavorativa. Serve ad accelerare l’ ingresso delle donne nelle professioni in modo tale da avere una rappresentazione  più adeguata e autentica della società cosi com’è. Nei paesi, soprattutto in quelli anglosassoni e del Nord Europa, in cui le pari opportunità sono una conquista storica – nel senso che sono praticate da decenni – la rappresentanza parlamentare, professionale e sociale delle donne è ben diversa e molto più adeguata ad una reale rappresentazione della società. Quando si dice: “l’altra metà del cielo”…

Che, poi, in Italia è il 52 per cento della popolazione.

 

Pensando ai cosiddetti “potenti della terra”, tra di essi non figura nemmeno una donna, come se il potere fosse sinonimo di “uomo” e quello giuridico in particolare rimanesse esclusivamente nelle mani degli uomini. Quante libertà, finora negate, si potrebbero ottenere se anche le donne avessero realmente un ruolo importante in politica?

Intanto ci sono per esempio Condoleeza Rice o Angela Merkel, che di certo sono tra “i potenti della terra”.

Per quanto riguarda il potere giuridico, pensiamo all’ingresso delle donne nella magistratura italiana. Ingresso abbastanza recente, qualche decennio fa, attraverso l’accesso ai concorsi.  Le donne sono entrate in massa nella magistratura, perché nei processi formativi e nei concorsi dimostrano capacità pari agli uomini. Ma poi in magistratura come altrove, con le dovute eccezioni,  non riescono ad oltrepassare il “soffitto di cristallo” che le separa dai piani alti delle professioni, come della politica.

Certo, se le donne avessero una rappresentanza più adeguata tutto sarebbe diverso e, a mio giudizio, migliore.

 

A proposito di interviste fatte ad alcuni “potenti”, ricordiamo la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci recentemente scomparsa. Lei come vedeva il suo modo di fare giornalismo ed in particolare di comunicare?

Oriana Fallaci sta tra i grandi del giornalismo. Con la caratteristica individuale di una forte vena polemica. La trovo grandissima, ma non condivido tutti i toni e i modi da lei usati.

 

Un nome tra tanti da ricordare: Maria Grazia Cutuli.

Guerra e terrorismo, hanno colpito e colpiscono  sia uomini che donne. Il vero problema è il riconoscimento dei ruoli. Maria Grazia Cutuli era inviata di guerra. Lo aveva dimostrato sul campo in più occasioni, prima della sua tragica morte. Ma pur lavorando nel più importante giornale italiano (Il Corriere della Sera, ndr), il suo riconoscimento è stato tardivo ed è avvenuto soltanto post-mortem.

Valeria Arlotta

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