È parzialmente incapace di intendere e di volere e, per questo, non può stare in giudizio. Le conclusioni di Giuseppe Catalfo, psichiatra interpellato dall’avvocato Giuseppe Rabbito, difensore di Loris Gagliano, sono arrivate ieri mattina, durante un’udienza durata quattro ore. Sono queste le battute finali del processo di Appello contro Gagliano, il ventisettenne che il 27 dicembre 2011 ha ucciso a Licodia Eubea la sua ex fidanzata, la ventiquattrenne Stefania Noce, e il nonno di lei, il settantunenne Paolo Miano. Il procedimento di primo grado si era concluso con una condanna all’ergastolo per il giovane assassino. Ma la sentenza, secondo il legale del ragazzo, non teneva conto dell’infermità mentale di Gagliano. È cominciato così, ormai un anno fa, un valzer di perizie psichiatriche parzialmente in conflitto le une con le altre. Medici chiamati da ogni parte d’Italia – da Roma a Torino, passando per Catania – interrogati per ore nelle aule del tribunale di piazza Verga. L’ultimo a parlare, a quattro udienze dalla sentenza, è stato il perito della difesa. Il quale si è detto d’accordo con le valutazioni di Francesco Bruno e Bruno Calabrese, i due psichiatri-star incaricati dal giudice Luigi Russo per formulare una perizia neutrale sullo stato mentale di Gagliano. Per entrambi gli specialisti, il giovane sarebbe «affetto da un disturbo narcisistico della personalità di tipo paranoico». A questa versione, Giuseppe Catalfo aggiunge che Gagliano sarebbe un «soggetto borderline»
«Ha una infermità mentale di base, un disturbo grave della personalità che esplode in condizioni di stress che causano uno scivolamento in una forma psicopatica», sostiene Catalfo. Tutte le azioni del ragazzo, ex studente di Psicologia all’università di Roma, sarebbero quindi «dettate dalla malattia». Elemento, quest’ultimo, che pregiudicherebbe la sua capacità di sostenere un processo. O di prendere decisioni che influenzino l’andamento della vicenda giudiziaria: per esempio, la richiesta di rinuncia all’Appello inviata alla Corte da Gagliano all’alba di questa seconda tornata processuale. «È solo una perizia difensiva», minimizza Pierpaolo Montalto, avvocato di Giovanni Noce, padre di Stefania. Quale sarà il suo peso il 25 novembre, dietro le porte chiuse della camera di consiglio, è ancora prematuro stabilirlo. «Quello che è certo – prosegue Montalto – è che se si accetta la tesi, sostenuta per primi dagli stessi Bruno e Calabrese, che Gagliano sia perfettamente in grado di capire le conseguenze dell’iter processuale, allora bisogna accettare anche che rinunci all’Appello e confermare la condanna al carcere a vita stabilita in primo grado».
Ma prima che questo accada, bisognerà aspettare un altro mese. Un periodo di tempo nel corso del quale sarà ascoltata la requisitoria della pubblica accusa, rappresentata dal procuratore Giulio Toscano, e saranno sentite le arringhe degli avvocati delle parti civili e della difesa. Per la fine di novembre è attesa la sentenza. Dopo un anno dall’inizio del processo e tre dalla morte di Stefania Noce.
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