Processo Mori, la requisitoria del pg Patronaggio «Assoluta inerzia investigativa da parte dei Ros»

Seconda giornata di requisitoria nel processo a carico del generale Mario Mori e del Colonello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato di Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 a Mezzojuso, arresto che arriverà nel 2006, undici anni dopo.

L’intento di oggi del pg Luigi Patronaggio era esaminare la posizione dibattimentale del teste Michele Riccio, il colonello grande accusatore dei due ufficiali. Posizione che, secondo il procuratore, la sentenza di primo grado (nella foto) ha “ridicolizzato” e messo in cattiva luce addebitando tra l’altro a Riccio la mancata comunicazione all’utorità giudiziaria . «Noi lo contestiamo – ha detto il procuratore generale – in quanto lui era solo un aggregato, con precise direttive e i soggetti preposto dalla legge a dialogare con l’Autorità giudizaria, erano Mori e Obinu. lI pm ha voluto ricordare che Riccio «Non è un ufficiale qualsiasi. E’ medaglia d’argento al valore Militare e collaboratore del generale dalla Chiesa, ha fatto irruzioni armate controle  Br, indagini su infiltrazioni massoniche nell’ambito dell’arma e delle amministrazione. Ha indagato su Luigi Savona».

Patronaggio ha iniziato esponendo i fatti che la procura, diversamente dal tribunale di primo grado, ritiene documentali, «Riccio non è quello tracciato dal tribunale di primo grado – dice -, quando arriva al Ros si mette a disposizione del generale Mori perché crede di poter portare a termine le sue indagini e che potrà operare all’interno dei Ros e lo fa con spirito di servizio. Mette a disposizione le proprie conoscenze  e nei mesi successivi capirà che i Ros non si stanno muovendo».

Il 2 maggio del ‘96 a Roma, Luigi Gino Ilardo avrebbe dovuto “formalizzare” il suo ingresso tra i collaboratori di giustizia, previsto ufficialmente per il 14 maggio, «Erano presenti – dice patronaggio –  l’allora procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra e i pm Giancarlo Caselli e Teresa Principato. Ilardo in quella occasione lasciò intendere che avrebbe fatto dichiarazioni che avrebbero coinvolto pezzi deviati dell’arma e dei servizi di sicurezza, non solo mafiosi, fa capire che parlerà di cose importanti.  Ma non avrà il tempo di una seconda deposizione, il 10 maggio del ’96 verrà ammazzato. Patronaggio evidenzi una “accelerazione” della morte di Ilardo, dovuta certamente alla “grave fuga di notizie da parte di ambienti giudiziari di Caltanissetta“, fatto confermato dal pentito Giuffrè e paventato allo stesso Riccio dal collega Damiani.  Dopo la morte di Ilardo, Riccio prenderà le distanze da Mori e dopo venti giorni dall’assassinio scriverà sulla sua agenda: “volevano solo ucciderlo perché non parlasse”. ll colonnello deciderà di scrivere il rapporto Grande Oriente, nel quale «gli imputati non volevano si facesse menzione né dell’incontro a Mezzojuso né del nome di Marcello dell’Utri e di altri politici. Perchè questo accanimento?  – continua il Procuratore generale – . Perchè Mori è  vicino a certi ambienti politici, FI, di cui faceva parte per altro il fratello. Inoltre Mori  non sopportava la gestione delle indagini da parte della magistratura e la Dia e la supervalutazione dei pentiti, che limitavano l’autonomia di indagine del Ros».  

Riccio doveva fermarsi. Le sue indagini erano un problema come evidenziato dagli appunti sulle agende di Mori: «Nel 1994  troviamo scritto ” Problema Riccio – Sic, appuntamento con Gazel, Obinu- De Caprio. Il 30 novembre del 1994, Mori scrive “Colonnello riccio riferisce sulle indagin”. Le indagini erano quelle che riguardavano Ilardo, Provenzano e la struttura Cosa Nostra»E ancora, in quelle di Riccio del ’95  vi è riferimento alla fonte Ilardo, al fatto che prima dell’incontro del 31 ottobre a Mezzojuso, Subranni, Mori e Ganzer fossero  informati di Grande Oriente e di quello che Oriente poteva offrire. Il 2 novembre ’95, due giorno dopo mancato blitz, Riccio annoterà sull’agenda  “riferisco tutto a Mori e De Caprio”. Qualche settimana dopo scriverà: “Impressione di poca efficienza confermata… “ . Il riferimento è al fatto che la fonte Ilardo aveva trasmesso anche le coordinate geografiche del luogo in cui si trovava il boss. Il 16 novembre 1995 lo stesso Ricci, con Ilardo, fece un ulteriore sopralluogo, individuando “le due abitazioni usate dal latitante per effettuare gli incontri con i suoi affiliati” e “contestualmente trasmetteva le coordinate geografiche al superiore Comando” . Ma non seguì alcuna azione e nessuna comunicazione all’autorità giudiziaria, «Perchè – dice Patronaggio – sanno che la prima cosa che avrebbero fatto avrebbero state le intercettazioni ambientali e telefoniche. E non la informano. Ora signor Giudice, ma se Riccio da solo trova quel luogo, è mai possibile credere che  i Ros con i loro potenti mezzi non riuscissero a trovare lo stesso luogo?»

Per la procura generale i Ros sapevano dove si trovava Provenzano e da tempo. «Fatto da evidenziare riguarda Lorenzo Vaccaro , uno dei soggetti che accompagna Ilardo all’incontro a Mezzojuso, e Salvatore Ferro. Entrambi si recarono per altre due volte da Provenzano in quella zona. Bastava seguirli e si poteva probabilmente arrivare al latitante. E a conferma di azioni anomale da parte dei Ros c’è la dichiarazione di Marino, in ordine alla cattura di Spera nel 2001; egli stesso si disse stupito per il fatto che in precedenza quella stessa masseria non era stata messa sotto osservazione. L’arresto di Spera avvenne sei anni dopo la mancata cattura, di Provenzano – aggiunge il pg -. Il 30 gennaio 2001, si arriverà alla masseria con un semplice pedinamento, scaturito da una intercettazione dell’8 dicembre del duemila tra Barbera e una persona anziana e ammalata che ha bisogno di una visita medica. Si pensa ad un latitante così il medico che si recherà lì, il dottor Di Noto, verrà pedinato e  gli agenti  faranno irruzione. Non troveranno Provenzano ma Spera appunto. Ma l’intuizione era esatta. Appena perquisiscono la Barbera infatti, nelle sua tasche trovano due missive da Saveria Palazzolo, moglie dei Provenzano e una dai figli. Quello che dovevano fare i Ros  – conclude – lo fa la Mobile sei anni dopo e Provenzano è stato in quel sito per sei anni».

Marta Genova

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