Ammesse tutte le parti civili al processo per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, che si svolge dinanzi ai giudici della prima sezione della Corte d’assise del tribunale di Palermo. Il presidente Sergio Gulotta ha respinto le eccezioni sollevate durante l’udienza precedente da parte delle difese, che ritenevano illegittime le richieste avanzate dalla Camera penale e dall’associazione contro le illegalità e le mafie Antonino Caponnetto: «Eccezioni infondate e nemmeno nessun accenno al movente dell’omicidio, da ricollegare con molta probabilità al suo ruolo di avvocato. Una minaccia all’intera categoria – spiega il presidente – Il cui prestigio, minacciato da azioni come quelle oggetto del processo, va tutelato». Sono sei in tutto, a queste due si aggiungono infatti il Comune di Palermo, il Consiglio nazionale forense, il Consiglio dell’ordine degli avvocati e i familiari del penalista, aggredito il 23 febbraio 2010 e morto in ospedale tre giorni dopo per la gravità delle ferite.
Sei anche gli imputati alla sbarra, presunti affiliati alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio: Paolo Cocco e Francesco Castronovo, che secondo la ricostruzione dell’accusa sarebbero i due esecutori materiali, Francesco Arcuri, che invece avrebbe progettato il piano, Antonio Abbate, Salvatore Ingrassia e Antonino Siragusa. «Questione manifestamente infondata», secondo la corte, anche quella riguardo la richiesta di annullamento del decreto che ha portato alla disposizione del giudizio immediato, avanzata dagli avvocati Debora Speciale e Giovanni Castronovo, legali di due dei sei imputati, rispettivamente Francesco Castronovo e Antonino Abbate. Secondo i due difensori il mancato deposito di alcuni atti inerenti ai decreti di intercettazione costituirebbe una lesione del diritto di difesa. Atti che, però, secondo i pubblici ministeri sono stati regolarmente depositati. La corte rigetta quindi tutte le eccezioni preliminari sollevate dalle difese, dichiarando aperto il dibattimento.
«L’avvocato Enzo Fragalà è stato barbaramente aggredito a pochi passi dal tribunale di Palermo, appena uscito dal suo studio. La Procura ha ricondotto il delitto a un movente voluto e collegato a Cosa nostra – spiega in aula la pm Caterina Malagoli – Da oltre 30 anni esercitava la sua professione in questa città nel settore penale, aveva anche partecipato al maxi processo e il suo impegno politico lo aveva portato a essere parlamentare per tre legislature. Il voler colpire proprio lui è stata una scelta deliberata da Cosa nostra, per punire una condotta professionale ritenuta pericolosa e incompatibile con l’interesse stesso dell’organizzazione criminale mafiosa. Il fatto cioè che lui convincesse molti suoi assistiti a parlare contro Cosa nostra, da questo scaturisce il delitto».
Una breve introduzione, quella della pm, in conclusione della quale l’accusa ha chiesto l’esame di tutti gli imputati e il deposito della trascrizione delle intercettazioni, oltre alla produzione documentale di una memoria difensiva scritta dallo stesso Fragalà nell’ambito del processo a carico del presunto boss Antonino Rotolo, in cui il penalista rappresentava Salvatore Fiumefreddo e Vincenzo Marchese, presunti prestanome proprio di Rotolo. In ultimo, la richiesta di perizia per confrontare le immagini riprese la sera dell’agguato dalle telecamere di zona con gli imputati. Un impianto accusatorio, quindi, che distingue fra mandanti ed esecutori e che tira in ballo le aggravanti della crudeltà e della recidiva per alcuni imputati. Le difese avranno tempo fino alla prossima udienza di settembre per pronunciarsi sulle richieste di prova dell’accusa e per sapere la decisione della corte in merito alla presentazione delle proprie liste testi.
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