Processo Ciancico, condannato a tre anni il notaio  Avrebbe truffato «per necessità di vivere nel lusso»

«Volare su Panarea con l’elicottero, comprare cavalli e motoscafi». Insomma sfoggiare il lusso. Ad ogni costo. Secondo l’accusa beffando lo Stato e i clienti per oltre un milione di euro. Il collegio giudicante della terza sezione del tribunale presieduto da Rosa Anna Castagnola, a latere Anna Maria Cristaldi e Barbara Maria Rapisarda, hanno condannato in primo grado a tre anni, oltre al pagamento delle spese processuali e alle spese sostenute dalle parti civili, Vincenzo Ciancico, il notaio catanese imputato per falsità materiale in atti pubblici, truffa e peculato. I giudici hanno dichiarato l’imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.

Il meccanismo che il professionista avrebbe attuato si basava sull’alterazione dei rogiti inviati telematicamente dopo la stipula all’interno del suo studio. In pratica ai clienti avrebbe fatto sottoscrivere degli atti e richiedeva il pagamento di determinate cifre, calcolate in base a quanto siglato. Successivamente, però, avrebbe inserito delle clausole per l’accesso a benefici fiscali. Di queste agevolazioni i contraenti non sempre avevano diritto. In entrambi i casi venivano tenuti all’oscuro. Grazie a questo presunto stratagemma all’Agenzia delle entrate Ciancico versava somme inferiori rispetto a quelle ricevute. Differenze che negli anni gli hanno permesso di intascare oltre un milione di euro. I soldi confluivano non sul suo conto professionale ma in quello cointestato con la moglie. I denari accumulati sarebbero serviti per il lusso. «Ciancico era avvezzo a una vita particolarmente dispendiosa – ha detto la pm Barbara Tiziana Laudani durante la requisitoria -. Aveva l’esigenza di possedere per vivere nel lusso, avere un motoscafo, comprare cavalli, raggiungere Panarea con l’elicottero e non con l’aliscafo; ma non si comprende come ciò possa disturbare seriamente la condotta di una persona». 

Era avvezzo a una vita particolarmente dispendiosa

Già perché durante il dibattimento in aula è stata tentata anche la carta della possibile capacità di intendere e volere scemata del notaio. Ma allo stesso tempo «Ciancico colpito da infarto – prosegue la pm – a 55 anni ha ripreso il lavoro dopo una settimana, fumando quattro pacchetti di sigarette e bevendo sei caffè al giorno. Ha violato ripetutamente i propri doveri. Le persone offese non sono state risarcite e non hanno ricevuto quanto avrebbero dovuto avere. I contraenti, ignari di tutto il meccanismo attuato dal notaio, oltre al danno hanno subito anche la beffa perché l’Agenzia delle entrate ha richiesto a loro le somme già pagate». Anche per queste ragioni l’accusa si è opposta al patteggiamento avanzato dalla difesa dell’imputato che puntava di concludere la vicenda giudiziaria con una pena di tre anni. Laudani, a conclusione della requisitoria, aveva chiesto la condanna a nove anni di carcere e la confisca di un milione e 114mila euro.

Per l’avvocato Giovanni Grasso, che ha assistito Vincenzo Ciancico, «dalla documentazione presentata è emerso che in parte c’è stato un risarcimento del danno. Per quanto riguarda la contestazione sull’alterazione dell’atto pubblico, in questo caso non c’è stata perché la copia telematica non costituisce un documento pubblico. Si tratta di un adempimento con il quale il notaio richiede la registrazione dell’atto e la firma telematica non attribuisce nessuna garanzia. La sola firma digitale, infatti, non certifica la conformità all’originale quindi non conferisce l’autenticità al documento in questione».

Molti i clienti che si sono costituiti parte civile nel processo; tra i tanti anche il colosso Auchan vittima del presunto illecito sistema messo in piedi dal notaio che si era occupato di redigere l’atto di acquisto di un terreno. «Il consiglio notarile – dichiara l’avvocato Salvo Trombetta che ha assistito il consiglio in giudizio come parte civile – ha dato un segnale con la costituzione perchè quelle condotte, a prescindere dalla pena, hanno leso l’immagine di tutti i notai. Non entro nel merito della pena perché non tocca a me come parte civile fare delle quantificazioni; evidentemente il tribunale avrà ritenute fondate alcune eccezioni sollevate dalla difesa dell’imputato. Attendiamo di leggere le motivazioni».

Umberto Triolo

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