Cronaca

Ladri di arance, via processo d’Appello. Chiesta perizia per imputato anziano: «Non avrei potuto rincorrere il 18enne»

Si era chiuso con due condanne all’ergastolo il processo per il duplice omicidio e il tentato omicidio dei ladri di arance. Questa mattina nel tribunale di Siracusa si apre il secondo grado del procedimento che vede imputati Giuseppe Sallemi e Luciano Giammellaro, i due custodi dei terreni della zona di contrada Xirumi, alla Piana di Catania, dove la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 sono stati uccisi il 18enne Agatino Saraniti e il compagno della madre Massimo Casella ed è stato gravemente ferito Gregorio Signorelli. L’unico sopravvissuto alle fucilate di quella notte che è diventato il testimone chiave del processo. Nonostante qualche momento di confusione, i suoi racconti sono stati ritenuti attendibili anche perché riscontrati con altri elementi di indagine. E, invece, proprio sull’inattendibilità di Signorelli si basa l’appello presentato dagli avvocati della difesa. Inoltre, il legale di Giammellaro ha chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la richiesta che sul suo assistito venga effettuata una perizia medica. Un’istanza – che era già stata rigettata in primo grado – che avrebbe l’obiettivo di dimostrare che l’anziano (all’epoca dei fatti aveva già più di 70 anni ed era pensionato) non avrebbe potuto rincorrere il giovane Sariniti per ucciderlo. «Io non cammino, non ci sento bene e non mi sento bene», erano state le uniche parole pronunciate dal pensionato che aveva deciso di non sottoporsi all’esame durante il processo continuando a dichiararsi innocente.

A parlare era stato invece di Sallemi che, nel corso di una lunga udienza, aveva ammesso che lui e Giammellaro non sarebbero stati gli unici a sparare quella notte. «A uccidere il ragazzino è stato il figlio di Giammellaro», anche lui custode di un terreno non distante ma che non è mai stato indagato. La presenza di questa terza persona nell’ampia scena del crimine era già stata anticipata da Signorelli in un’intervista esclusiva rilasciata a MeridioNews mentre si trovava ancora ricoverato in ospedale e poi confermata nell’incidente probatorio. Sallemi, invece, ha cambiato versione più volte. Subito dopo essere stato arrestato, aveva confessato di avere agito da solo per legittima difesa davanti a una presunta reazione degli uomini scoperti a rubare. Dichiarazioni smentite dagli esiti delle autopsie sui cadaveri. Nella ricostruzione dell’accusa avrebbe sparato «in funzione di un accordo economico con Giammellaro che, però, poi sarebbe saltato». Una questione che era già venuta fuori anche dalle intercettazioni. Dagli atti non è emerso nessun preciso accordo tra i ladri e i custodi dei terreni in quella occasione. Secondo l’accusa, l’elemento scatenante sarebbe stata una domanda posta dall’unico sopravvissuto a Sallemi. «Signorelli mi ha chiesto se fossi autorizzato a sparare – aveva raccontato il custode a processo – Io gli ho detto che non avevo bisogno di autorizzazioni, ho abbassato il fucile e ho sparato».

Signorelli viene dato per morto e, invece resta agonizzante in mezzo ai terreni della Piana dove poi verrà trovato dai parenti che era riuscito ad allertare con il cellulare. Massimo Casella è già morto colpito da un solo colpo all’addome, sparato dall’alto verso il basso, con i pallini che hanno trafitto i polmoni e il pancreas non lasciandogli scampo. A quel punto, sarebbe stato ammazzato anche Agatino Saraniti, il figlio della sua compagna, appena maggiorenne. Ed è proprio per l’uccisione di quest’ultimo che era stata contestata anche l’aggravante della crudeltà. A lui, infatti, avrebbero sparato tre volte: un colpo sullo stomaco, a bruciapelo, a contatto con la pelle nuda, che è uscito dall’altra parte della pancia senza raggiungere organi vitali. Stando a quanto ricostruito della medica legale, questo potrebbe essere stato il primo colpo sparato contro il ragazzo che si sarebbe avvicinato con l’intento di disarmare il suo aggressore e avrebbe afferrato la canna del fucile. Poi, mentre stava scappando, sarebbe stato preso al gluteo destro da un colpo sparato più da lontano. Quello fatale, però, sarebbe stato l’ultimo colpo arrivato al centro della schiena e che gli avrebbe spezzato la colonna vertebrale.

Marta Silvestre

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