Si è chiuso con 19 condanne e due assoluzioni il processo per i 21 imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Una sentenza che adesso cristallizza l’esistenza di una cellula mafiosa di Cosa nostra attiva a Messina. Il gup Carmine De Rose ha inflitto la pena più alta a Vincenzo Romeo, nipote di Nitto Santapaola, considerato il vertice del gruppo. È stato condannato a 15 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione. Undici gli anni inflitti a Benedetto Romeo; dieci anni, otto mesi e 20 giorni per Pasquale Romeo, stessa pena per Marco Daidone. Dieci anni e dieci mesi ad Antonio Romeo; sei anni e quattro mesi, più alta rispetto a quanto aveva richiesto la procura, per il pentito milazzese Biagio Grasso.
Tre anni e sei mesi a Lorenzo Mazzullo; due anni, un mese e dieci giorni per Gianluca Romeo; un anno, dieci mesi e 20 giorni per Giovanni Bevilacqua; un anno, nove mesi e dieci giorni e pena sospesa per Caterina Di Pietro, Giorgio Piluso e Maurizio Romeo. E poi ancora un anno, cinque mesi e dieci giorni a Salvatore Lipari; un anno, quattro mesi e 20 giorni ad Antonio Lipari; un anno e quattro mesi a Mauro Guarnieri; sei mesi a Giuseppe Verde, N. (nome aggiornato con le sole iniziali perché successivamente assolto, ndr) e Fabio Laganà; e infine tre mesi ad Antonio Rizzo. Assolti Francesco Altieri e Giovambattista Croce.
Il blitz dei carabinieri del Ros a luglio del 2017 portò all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 30 persone. Secondo la Dda, che aveva chiesto pene tra i 28 e i due anni, a Messina si era radicata una cellula nata da Cosa nostra catanese, che sarebbe stata collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania e che sarebbe stata in grado di avvalersi di professionisti, imprenditori, titolari di società, funzionari pubblici per gestire gli interessi economici illeciti. Una mafia «pulita, ricchissima e impunita, posta nel salotto bene della città», come era stata descritta in quei giorni.
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