Cronaca

Omicidio Agata Scuto: «L’imputato mi chiese il favore di dire che ero con lui quel giorno»

«Mi fai il favore di dire ai carabinieri che quel giorno in cui mi sono fatto male alla gamba ero con te a raccogliere vaccaredde (lumache, ndr)?». Un goffo tentativo di costruirsi un alibi, almeno secondo l’accusa, quello di Rosario Palermo, imputato per l’omicidio di Agata Scuto – la 22enne scomparsa da Acireale (nel Catanese) dal 4 giugno del 2012 e il cui corpo non è stato ritrovato – all’amico e collega di raccolte in campagna Michele Bella, a cui oggi è stata dedicata l’intera udienza del processo. A osservare tutto con attenzione da dietro le sbarre della cella, nell’aula della corte d’assise d’Appello al secondo piano del tribunale di Catania, c’era anche l’imputato – guarito dall’influenza che aveva costretto a rinviare la scorsa udienza – che è l’ex compagno della madre della vittima, accusato di aver ucciso la ragazza che si suppone aspettasse un figlio proprio da lui. Il testimone – parlando quasi sempre in dialetto – ha ricostruito la circostanza in cui Palermo gli avrebbe chiesto di creargli un alibi per il giorno della scomparsa della ragazza. Ed è proprio sulla datazione di «quel giorno» che si sono concentrate le domande del pubblico ministero, del presidente della corte e anche dell’avvocato Marco Tringali che difende l’imputato.

Oggi pensionato, Bella condivideva con Palermo il lavoro di raccolta di erbe spontanee e lumache nella zona della Piana di Catania, in particolare nel territorio di Scordia. «Ci siamo conosciuti in una pescheria di Acireale nel 2014», esordisce il testimone, datando la conoscenza con l’imputato a due anni dopo la scomparsa di Agata Scuto. Una frequentazione lavorativa che, a un certo punto, si interrompe bruscamente per un comportamento di Palermo che a Bella appare irrispettoso nei suoi confronti. «Quella mattina sono andato a prenderlo a casa di sua madre – racconta il teste – e siamo andati a raccogliere lumache. Faceva caldo e Palermo mi ha chiesto di tornare a casa». Dalla zona di Scordia, Bella avrebbe riaccompagnato Palermo nell’abitazione della madre. Il giorno dopo, quando passa di nuovo a prenderlo, l’imputato però non si fa trovare. Solo la sera spiegherà al collega: «M’astruppiai un piede” (mi sono fatto male a un piede, ndr)». Per poi aggiungere di presenza qualche dettaglio: «Andando a fare olive per i fatti suoi – riporta il testimone – quando invece mi aveva chiesto di rientrare in anticipo. Mi sono risentito perché io lo aiutavo e lui è andato a guadagnarsi il pane alle mie spalle».

Un’offesa nonostante la quale, qualche giorno dopo, Bella fa visita all’amico: «Mi ha detto che aveva ancora male alla gamba. Dopo diverse insistenze, ho visto la ferita e mi sono preoccupato perché mi sembrava stesse andando in cancrena. Ma lui mi ha detto che non si era fatto visitare e che di andare in ospedale aveva paura». Passano anni in cui i due non si vedono e non si sentono più. Fino al 2020 quando Palermo lo avrebbe chiamato dicendogli che aveva bisogno di parlare: «Mi hanno chiamato i carabinieri e mi hanno detto che la picciridda (la bambina, ndr) morta me la vogliono accollare (mi vogliono accusare, ndr) a me». A questo punto sarebbe arrivata la richiesta: «Quel giorno che mi sono fatto male alla gamba io ero con te a raccogliere lumache. Mi fai il favore di dire che ero con te?». Una richiesta a cui Bella avrebbe risposto che avrebbe detto agli inquirenti che quel giorno erano andati via prima del previsto. Salvo poi rettificare che «quel giorno» non era lo stesso per i due: nel 2012 (l’anno della scomparsa della 22enne) per Palermo, il 2014 – ben due anni dopo – per Bella.

Nel verbale che il testimone ha firmato quando è stato sentito c’è anche un particolare, non indifferente, che però oggi al teste deve essere ricordato. La conversazione tra i due sarebbe infatti andata avanti con Palermo che gli avrebbe chiesto: «In caso, non puoi dire comunque che ero con te anche se non eravamo insieme?». Una richiesta a cui Bella si sarebbe opposto: «Ma sei pazzo?». Dopo l’aiuto alla memoria fornito dal pm e dal presidente, il testimone aggiunge: «Sì, sicuramente ha insistito».

Marta Silvestre

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