Da Catania è partita e sotto l’Etna è tornata per ricevere il premio Maria Grazia Cutuli. In mezzo nove anni passati tra Milano e la sua grande passione, il Medioriente: Yemen, Iraq, Egitto, Libia. Laura Silvia Battaglia, 39 anni, è la vincitrice dell’edizione 2013, nella categoria giornalisti siciliani emergenti, del prestigioso riconoscimento dedicato alla cronista del Corriere della Sera uccisa il 19 novembre del 2001 in Afghanistan, sulla strada tra Jalalabad e Kabul. Cinque giorni dopo, a seguire i funerali per il quotidiano La Sicilia, c’era proprio lei. «Un evento che mi ha segnato e che ha contribuito alla scelta di trasferirmi a Milano per coltivare il mio sogno», ricorda Battaglia che oggi vive divisa tra il capoluogo lombardo e la capitale dello Yemen, Sana’a. Ieri sera ha ricevuto il premio al teatro San Giorgi di Catania, alla presenza del presidente del Senato, Pietro Grasso, il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini e il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli. Gli altri vincitori sono Lucia Goracci, di Rai News 24, nella categoria giornalisti italiani, e Marc Marginedas, inviato di guerra per El Periodico de Catalunya, per giornalisti stranieri.
Laura Silvia Battaglia ha frequentato a Milano la scuola di giornalismo dell’Università Cattolica, restandovi come tutor. «Sognavo di diventare un inviato e lavorare negli esteri, ma a differenza dei colleghi che entrarono in una redazione, decisi di seguire l’istinto e il suggerimento del direttore della scuola, Matteo Scanni: rimanere all’università mi ha permesso di avere un lavoro stabile, essere a contatto con giovani giornalisti, continuare a credere in questo lavoro. E poi ho imparato ad usare la telecamera. Inutile fare gli snob perché si viene dalla carta stampata. Il giornalismo è un lavoro sociale, non letteratura. Se la gente non vede le cose, non ci crede». La videocamera diventa così l’immancabile compagna di viaggio nelle tasferte ritagliate nei periodi liberi, investendo tempo e denaro per coltivare la propria passione. Prima in Libia, per raccontare – attraverso il documentario Al Hurrìa – la conquista della libertà durante la primavera di Bengasi. Quindi in Iraq e nell’Egitto sull’orlo della guerra civile. Si trova prorio al Cairo, in piazza Rabaa il 14 agosto, giorno del massacro dei sostenitori del presidente deposto Morsi da parte dell’esercito regolare. «Di solito passavo l’estate a Milano, ma quest’anno il quotidiano Avvenire non mi ha rinnovato il contratto e ne ho approfittato per partire. Non avevo un committente preciso, ero lì per filmare quanto succedeva – racconta la giornalista freelance – in quell’occasione sono entrata in contatto con l’agenzia americana Transterra Media e da lì è nata una collaborazione che mi ha portato in Yemen, dove adesso passo sei mesi all’anno».
A Sana’a ha l’opportunità di perfezionare lo studio dell’arabo, iniziato all’Università e coltivato nel tempo. «La competenza fa la differenza e in Yemen si parla la lingua in modo perfetto. Lavorando in ambienti ostili, capire cosa sta dicendo la gente intorno a te e poter replicare può salvarti la vita. A me ad esempio è successo al Cairo». Vivere metà dell’anno in un paese del Medioriente facilita anche altri spostamenti. «Ho trascorso 15 giorni a Baghdad per realizzare un video sulla vita dei giovani film maker in una città dove avere un’arma è più facile di portare una telecamera – racconta – In Iraq ho seguito anche la campagna ecologica della ong americana Nature foundation. Abbiamo percorso i fiumi mesopotamici per testimoniare le pessime condizioni ambientali e raccogliere dati sulle risorse idriche compromesse a causa della realizzazione da parte della Turchia di grandi dighe che impediscono lo scorrimento dei fiumi fino all’Iraq». Una guerra dell’acqua nascosta, ipotizzata in un futuro prossimo, ma che è già realtà. «Ho risalito i fiumi su imbarcazioni tipiche, ho campeggiato sul Tigri e l’Eufrate e ho conosciuto pescatori e pastori. Quando non filmavo, remavo. Ne farò un documentario».
La carriera di Laura Silvia Battaglia inizia a Catania. «Ho vissuto nella mia città fino a 31 anni, qui nel ’96 ho cominciato a scrivere su un piccolo giornale letterario, Peccettum, fondato da un ex tipografo de La Sicilia che aveva la passione per l’opera. Un’esperienza che durò poco perché non avevamo pubblicità, non passando dall’agenzia Publikompass». Arriva quindi il passaggio a La Sicilia, alla pagina della cultura, per finire presto alla cronaca. «Come critico musicale non avevo futuro, perché non scrivevo sempre bene degli spettacoli. Invece in cronaca trovai un secondo padre, Giorgio De Cristofaro, che mi insegnò il mestiere mandandomi in tutti i posti possibili. Anche al funerale di Maria Grazia Cutuli». E’ il 2001, lo stesso anno dell’attentato alle Torri Gemelle, un altro evento che contribuisce alla scelta di andare via. «Guardavo la tv e volevo essere lì, sognavo di lavorare per le strade come facevo a Catania, ma in altri Paesi».
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