«Non abbiamo fermato i lavori, abbiamo onorato i pagamenti e gli stipendi, ma abbiamo anche dissanguato l’azienda. È assurdo che si sia accumulato un debito così alto e che per colpa dello Stato che non onora i suoi impegni un’azienda come la nostra debba andare in difficoltà». Così Concetto Bosco, azionista insieme a Mimmo Costanzo della Tecnis, l’azienda che sta costruendo la nuova darsena al porto di Catania. Con una lettera aperta al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, al ministro dellEconomia e finanza e al prefetto di Catania, dunque, chiedono aiuto perché si trovino i soldi per il pagamento dei lavori alla Tecnis.
Sono preoccupati per il futuro della loro azienda che, ricordano i titolari, «è stata considerata un’eccellenza nella classifica del Sole 24 ore, l’unica del settore nel Sud tra le prime 25 in Italia». «Una classifica che ci onora, ma è facile mettere tutto a repentaglio – dichiara Costanzo – A oggi abbiamo anche i prestiti bancari bloccati e se continuiamo così, altro che eccellenza. La banche non ci fanno credito perché non esiste nessun finanziamento e non si fidano del fatto che l’Autorità possa onorare il debito», aggiunge.
I lavori sono quasi ultimati, ma da gennaio l’azienda non riceve i dovuti pagamenti e così si è accumulato un credito di 27 milioni di euro. Il finanziamento sarebbe dovuto arrivare dalla banca Dexia Crediop. Questa ha però rescisso il contratto con il quale si garantiva il mutuo per la darsena e, come ha riferito più volte il commissario straordinario Giuseppe Alati, «si stanno tentando strade alternative». Vie che però ad oggi non sono concrete e così il problema dei pagamenti all’azienda rimane. «La banca ha rescisso il contratto approfittando di errori di negligenza dell’Autorità portuale etnea. Per questo abbiamo perso il finanziamento», attacca Costanzo.
Un’accusa diretta, dunque, all’operato dell’Autorità con cui però nei mesi scorsi l’azienda dialogava. Entrambe hanno infatti paventato la possibilità di un blocco dei lavori senza l’arrivo dei soldi dovuti. Il commissario straordinario ha anche mandato una lettera con un ultimatum al ministero dell’Economia per risolvere il problema, senza però ricevere risposte concrete. La situazione è di totale stallo, ma i lavori non sono stati bloccati. «Abbiamo ritenuto di non fermarli considerando che sono completi per oltre il 95 per cento, che la fase a cui si è arrivati, ovvero di rimozione di due pescherecci-relitto, è stata travagliata anche a causa del fatto che si pensava che ci fossero degli ordigni bellici, e che bloccare i lavori avrebbe comportato un aggravio dei costi per l’azienda», afferma il commissario Alati.
In merito alle accuse dell’azienda, poche parole: «Non sono solito esprimere giudizi sull’operato di altri. Dunque non commento». Il riferimento è alle scelte di chi lo ha preceduto al vertice dell’Autorità, Cosimo Aiello. Alati spiega invece che l’arrivo o meno di questi soldi, frutto di finanziamenti alternativi, non dipende dall’autorità etnea. «Noi abbiamo completato la procedura che ci compete e inviato tutto al ministero, possiamo solo sollecitare la firma del decreto, ma nulla di più», afferma ancora Alati.
Resterebbe solo da aspettare dunque, ma, dopo mesi, l’azienda non è più disposta a farlo. «Non è con una lettera che si risolve la situazione, il commissario non può da un lato vantarsi della nuova darsena e dall’altro non pensare a fare anche dei presidi a Roma, se è il caso, pur di permettere il pagamento dell’azienda che l’ha costruita», sostiene Costanzo. «Siamo vittime della mala burocrazia e invochiamo l’aiuto del premier perché a questo punto solo lui può salvarci», conclude Bosco.
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