Piovono statue

Via Torino è uno dei lussuosi atri del Duomo di Milano. Sono le cinque del pomeriggio, le partite sono appena finite. “Che si fa ragazzi? Andiamo a vedere questo benedetto predellino bis?”.
Nel capoluogo lombardo comincia a fare freddo sul serio, la brezza ora fa scendere giù qualche lacrima. Ma il gruppetto di aspiranti giornalisti non può far tacere l’istinto per la cronaca.
E se andassimo solo a far numero? Non è che alla fine gli facciamo un favore?
Al diavolo i calcoli, bisogna vederle le cose per poterle raccontare.
 
Il palco per il tesseramento del Pdl è sistemato sul retro della cattedrale gotica. Ci accoglie il discorso di Ignazio La Russa. Ma dura poco. Sulle note di “Meno male che Silvio c’è” arriva lui. Tante bandiere Pdl, qualche tricolore. Qualche centinaio di persone attorno al palco: pellicce, sigari e qualche tifoso rosanero felice catapultatosi da San Siro. Al banchetto delle iscrizioni al partito quote poco popolari: 50 euro tariffa intera, 25 per gli studenti. Inizia il discorso, niente di nuovo: Rai comunista, confusione tra mafia e antimafia, governo solido. Di predellino bis non se ne parla.
 
Torno indietro di qualche decina di metri. Un centinaio di persone si sono riunite per protestare. Ci sono giovani, adulti, qualche anziano, un ragazzino, c’è Piero Ricca, famoso per le sue imboscate con videocamere a politici e giornalisti. Ci sono fischietti, qualche copia del Fatto Quotidiano, una foto di Falcone. Si contesta con slogan: “Fatti processare”, “Chi non salta un mafioso è”, “Vergogna”. Una decina di poliziotti in ordine sparso controllano la situazione a qualche metro di distanza. I contestatori rimangono distanti. Io e i miei colleghi passiamo tranquillamente da una parte all’altra della barricata.
 
Perché non vengono qua? Mettiamoli in mezzo. Quanti saranno? Duecento? Così poi li meniamo per bene sti comunisti”. Mi dice un esagitato signore sulla cinquantina, che ha smesso di ascoltare il capo per concentrare la sua attenzione sui contestatori. Qualche signora impellicciata da lontano li  invita ad andarsene. Torno indietro, appena in tempo. I poliziotti si moltiplicano, stavolta in tenuta antisommossa: scudi ben in vista, manganello pronto. La strada viene divisa in due, non si passa più nella zona palco. I fischi aumentano, la tensione sale. Dietro i poliziotti un gruppo di ragazzi si avvicina col braccio alzato. Duce duce. Stessa cosa fa un padre di mezza età. Naturalmente imitato dal figlio adolescente. Gli scudi però rimangono rivolti dall’altra parte.
 
Il comizio finisce. Riparte l’inno del presidente. Ma la strada resta bloccata, i contestatori non possono avvicinarsi, né mai ci provano. Anzi, sono spinti più lontano. È tempo di tornare a casa, gli spunti di cronaca sono finiti. Torniamo in piazza del Duomo, ci fermiamo sotto il grande albero di Natale illuminato per qualche minuto, mangiamo una fetta di pizza. Facciamo il giro dalla parte opposta della chiesa per andare verso piazza Fontana. I furgoncini delle varie tv attirano la nostra attenzione. Una giornalista di SkyTg24 è pronta per una diretta, ma sembra troppo agitata. Si rivolge al tecnico: “L’ho proprio visto. Aveva del sangue che scendeva sul viso. Non so altro per ora”.
Pensiamo: ma come si fa ad usare i manganelli per una semplice contestazione? Poco dopo dalle immagini capiremo di quale sangue stesse parlando.

Massimo è uno psicolabile” dirà il padre del ragazzo.
Non un contestatore.

Salvo Catalano

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