Pillirina, lotta tra ambientalisti e il marchese del residence La storia di una privatizzazione cominciata quaranta anni fa

Gli ambientalisti da un lato e la società di un marchese piemontese dall’altro. In mezzo il terreno del contendere che è l’area di Punta della Mola della Pillirina a Siracusa. Una delle più importanti necropoli storiche della Sicilia sul litorale nord-orientale della penisola del Plemmirio. Testimonianze storiche della preistoria siciliana in un tratto di costa che è anche una meraviglia ambientale e culturale. È lì che dovrebbe sorgere un residence, e non più un resort di lusso come proposto nel primo progetto della società Elemata Maddalena Srl dell’imprenditore Emanuele Di Gresy, mentre si attende che la Regione istituisca la riserva terrestre. Intanto, da qualche mese, davanti alla via di accesso sono comparsi dei blocchi di cemento sorvegliati 24 ore su 24 da vigilantes. Dopo la denuncia di un giovane siracusano, il consorzio Plemmirio ha segnalato la situazione alla polizia ambientale che è andata a fare un sopralluogo e, al momento, sono in corso delle indagini da parte della capitaneria di porto

«Quando sono arrivato là davanti per la mia solita passeggiata – racconta a MeridioNews il 21enne siracusano Sebastian Colnaghi – nella via di accesso all’altezza della caserma della guardia di finanza ho trovato non solo i blocchi di cemento ma anche le guardie giurate che mi hanno detto che non si poteva più entrare. Poi – continua – dopo qualche insistenza da parte mia, mi hanno rivelato che si poteva accedere da un’altra stradina». E così, il giovane, ha subito segnalato la cosa al consorzio Plemmirio che lì gestisce l’area marina protetta e che, qualora si riuscisse a istituire la riserva terrestre, ha già dato la propria disponibilità a gestirla. «Ci siamo stupiti a vedere che Punta della Mola era stata chiusa con massi ciclopici e con tanto di vigilantes – dice al nostro giornale la presidente Patrizia Maiorca – Così abbiamo chiamato la polizia ambientale che, dopo il sopralluogo, ha fatto un report e abbiamo chiesto anche l’intervento degli enti preposti alla tutela del territorio. È vero – sottolinea – che la stradella è stata sdemanializzata ed è quindi privata ma su Punta della Mola ci sono piccole zone demaniali delle latomie e quella è l’unica via per arrivarci». 

Una questione su cui, al momento, sono in corso delle indagini della capitaneria di porto. «I nostri avvocati hanno già presentato tutti gli atti – fanno sapere a MeridioNews da Elemata Maddalena Srl – e stiamo ancora aspettando gli esiti». Per la società, infatti, quelle «tre o quattro particelle demaniali di un metro quadrato ciascuna sono frutto di un errore tecnico emerso nel 2012 quando il demanio e il catasto hanno unificato le loro cartografie. Anche perché nei documenti – riferiscono – c’è scritto che il bene confina per tre lati con il mare e non con il demanio». Posto che, dal punto di vista della società, «qualora volesse, il demanio potrebbe pagare e riprendersi una parte con un esproprio». Al momento, l’accesso è comunque garantito da una stradina ma dalla società restano convinti del fatto che «la proprietà privata non si dovrebbe potere nemmeno attraversare. Poi, se qualcuno ci arriva dal mare, per noi va bene». Un punto di vista non condiviso dagli ambientalisti e dall’area marina protetta. Intanto, più volte nell’ultimo periodo, la società ha denunciato «il parcheggio abusivo, con tanto di parcheggiatore abusivo in alcuni periodi estivi, di camper, auto, moto, quod, motocross e perfino di pecore sull’area archeologica. Per evitare tutto questo – affermano dalla società – abbiamo provveduto a potenziare quei blocchi di cemento». 

Una battaglia che va avanti da anni tra il privato che vorrebbe vedere i frutti di un cospicuo investimento nell’area e gli ambientalisti che rivendicano il diritto a fruire del luogo che fino a prima degli anni ’20 del Novecento è stato un villaggio di pescatori. Per capire come si è arrivati a questo punto, però, bisogna fare un salto indietro di quarant’anni: la privatizzazione comincia, infatti, negli anni Ottanta quando quel tratto di costa viene sdemanializzato e ne viene consentita la vendita all’asta. È il 1982 quando una nota della Soprintendenza comunica di avere preso atto della decisione dell’amministrazione di procedere alla sdemanializzazione dell’ex batteria Russo. Per la tutela archeologica, c’è però il «divieto di alterare l’aspetto attuale dei luoghi con spianamenti o riempimenti o qualsiasi altra manomissione perché potrebbero essere danneggiate le condizioni di ambiente e di decoro della zona archeologica circostante». 

Nello stesso documento si mette nero su bianco che sono ammessi «il consolidamento e il restauro dei fabbricati esistenti nel rispetto delle volumetrie attuali», sotto il preventivo esame della Soprintendenza. Insomma, seguendo delle linee guida (cioè le coperture con tegole alla siciliana e gli intonaci con i colori già usati) si possono restaurare gli immobili ma non si può fare nient’altro. Gli stessi vincoli che restano quando, nel 1986, il bene viene messo in vendita, si indice una gara e viene aggiudicato all’asta per poco meno di 400 milioni di lire. Nel 2008 è la società Elemata a comprarlo pagando ai quattro precedenti proprietari 3 milioni e 500mila euro. Fin dall’inizio, l’idea è quella di utilizzarlo nel settore turistico-ricettivo e nel 2014 viene presentato il primo progetto per realizzare un resort di lusso. Vedendoselo respingere dalla Soprintendenza, la società ne ha presentato uno nuovo (che ha già ricevuto l’ok) che prevede di agire su un’area di circa un migliaio di metri quadrati per restaurare sei edifici e realizzare una decina di abitazioni con 29 posti letto. Un progetto a cui gli ambientalisti non si rassegnano perché «non è conciliabile con la tutela di un’area che ha il vincolo sia paesaggistico che archeologico – lamenta l’ex assessore all’Ambiente Carlo Gradenigo – che rientra nell’area marina protetta del Plemmirio ed è anche anche un Sic (sito di interesse comunitario, ndr)». 

Marta Silvestre

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