Sono tutti ventenni i tre ragazzi bengalesi che dormivano adiacenti al bagno del centro d’accoglienza di Pietraperzia contro cui, mercoledì notte, qualcuno ha sparato un colpo di fucile a pallettoni, che ha mandato in frantumi il vetro. Mohamed, Ahmed e Jamil, ospiti della struttura insieme a una ventina di altri migranti, conoscono bene la disperazione, la paura, la Libia, le percosse, ma mai avrebbero pensato di rischiare le loro vite in una terra che consideravano sicura. «In Libia sentivamo gli spari in lontananza, non avremo mai creduto che qualcuno ci avrebbe sparato dentro i nostri alloggi in Italia», racconta a Meridionews Ahmed, ancora molto provato. «Abbiamo sentito uno scoppio – interviene Mohamed, il più giovane dei tre, che si dice «vivo grazie a Dio» -. Siamo entrati in bagno e ci siamo accorti del vetro rotto e poi i segni sulla porta. Ero andato in bagno – continua – dieci minuti prima. Potevo non essere più qui». Ripensando a quei momenti, Mohamed comincia a tremare. «Ho pregato e pianto tutta la notte. Abbiamo paura di uscire. E se succedesse un’altra volta?», si domanda impaurito Jamil, che da due notti non riesce a chiudere occhio.
Intanto gli operatori dell’associazione Don Bosco 2000, che gestisce il centro, lavorano per ripristinare un clima di normalità. Barry, mediatore culturale di origine sub-sahariana, ripercorre i momenti di paura. «Intorno all’una e mezza siamo stati scossi da un forte rumore. All’inizio credevo si trattasse dei fuochi d’artificio per il carnevale ma poi i tre giovani mi hanno informato che qualcuno aveva sparato mirando alla finestra del bagno. Non riuscivano a calmarsi. Alcuni tremavano, altri piangevano. Anch’io ho avuto paura, ma mi sono fatto forza per sostenerli». L’operatore parla poi della solidarietà ricevuta. «Tanta gente è venuta per informarsi sulle nostre condizioni e nei giorni scorsi alcuni ci hanno portato scorte alimentari».
Un gesto collettivo confermato anche da don Osvaldo Brugnone, presente all’interno del centro per dare coraggio ai ragazzi. «Sono parroco di questa comunità da sette anni e posso dire che i pietrini sono accoglienti. In questi giorni c’è stato un incessante via vai: chi ha portato vestiti, chi scarpe o cibo». «È una vergogna – dicono indignati alcuni cittadini di passaggio dal centro -. Che male hanno fatto? Sono bravi ragazzi che non creano problemi». Conferma che arriva anche dalle forze dell’ordine locali. «Non ci risultano disordini, denunce o segnalazioni a carico dei migranti nei giorni scorsi, era tutto tranquillo», commentano i carabinieri, che intanto vanno avanti nelle indagini per risalire ai responsabili.
Cinzia Vella, una delle coordinatrici del centro, è incredula nel pensare che il Cas sia stato preso di mira. «La maggior parte della comunità – spiega, mentre mostra i segni degli spari – ha accolto positivamente i ragazzi. Questo atto molto probabilmente è frutto della risonanza politica data a un fenomeno che viene strumentalizzato per cercare consensi. Ma non ci lasciamo intimidire». A visitare la struttura è stato anche il sindaco Antonio Bevilacqua. «L’apertura del centro nella casa canonica di via San Giuseppe è stata accompagnata da alcuni preoccupati per i nuovi arrivi. Mesi fa, si era costituito un comitato contro l’arrivo dei migranti ma niente faceva presagire un fatto simile. I ragazzi andavano in giro tranquillamente. Ieri sera, durante la messa celebrata dal vescovo Gisana per portare sostegno a questi ragazzi, la partecipazione della cittadinanza è stata forte, c’era anche chi all’inizio era stato titubante».
A esprimere solidarietà è stato anche il presidente della Regione Nello Musumeci. «Un gesto da condannare senza se e senza ma – si legge in una nota -. Non si possono mai giustificare azioni violente e gli episodi di intolleranza vanno sempre combattuti. L’accoglienza non può essere solo un comodo slogan di campagna elettorale». La risposta degli ospiti del centro, intanto, viene racchiusa in un gesto simbolico. Quello di piantare davanti l’ingresso del centro dei fiori. «Malgrado tutto, vogliamo lanciare un messaggio di fratellanza e di un fiducia nell’altro».
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