A chi conviene? L’antica domanda latina (cui prodest?) torna in mente ogni volta che si parla di fonti fossili. Specie in Sicilia, dove i tanti giacimenti di petrolio e gas continuano ad essere mira di poche multinazionali del settore che quando sono italiane, vedi il caso di Eni a Gela, continuano a mirare al profitto e al territorio lasciano solo le scorie. L’annuale dossier di Legambiente, intitolato per l’edizione 2018 No Oil, lascia poco spazio alle interpretazioni: di quel business alla popolazione siciliana resta ben poco.
Basti pensare alle royalties, ovvero il canone che le compagnie energetiche devono pagare allo Stato per lo sfruttamento dei giacimenti (di cui lo Stato rimane proprietario ma che dà in concessione a chi ne fa richiesta). A fronte di aliquote piuttosto basse – il 7 per cento per le estrazioni di petrolio e il 10 per cento per l’estrazione di gas – scatta pure l’esenzione se la produzione annuale non supera le 50mila tonnellate per il petrolio a mare (20mila a terra) e gli 80mila metri cubi per il gas a mare (25milioni a terra). Ma è grazie a queste quote che impianti definiti «poco produttivi» si rivelano convenienti, anche rispetto a maxi giacimenti, perché poi la società produttrice può rivendere il prodotto a prezzo pieno. Uno sconto che tra petrolio e gas si aggira circa a metà delle estrazioni.
Come segnala l’associazione ambientalista «dal 2010 al 2017 le otto concessioni produttive di greggio in Sicilia hanno estratto in totale 7,9 milioni di tonnellate di greggio di cui 1,8 milioni (circa il 23 per cento) sono risultate esenti dal pagamento delle royalties. Nel 2017 addirittura il 30,5 per cento della produzione siciliana (223.906 tonnellate) non è rientrata nel gettito delle royalties». Ancora peggio per il gas, dove, dal 2010 al 2017, «le 12 concessioni produttive hanno estratto in totale 2,24 miliardi di smc (metro cubo standard) di cui 1,39 miliardi (il 61,8 per cento) sono risultati esenti dal pagamento delle royalites. In questi anni, la percentuale di esenzione non è scesa mai al di sotto del 50 per cento, negli ultimi tre anni (2015, 2016, 2017) addirittura le percentuali di esenzione sono state rispettivamente del 73,2 per cento, 74,7 per cento e 76 per cento della produzione totale siciliana».
Ecco perchè Legambiente propone di spingere, come già fa da anni, sul settore delle rinnovabili. Dalle enormi potenzialità, specie in un’isola come la Sicilia. «Le rinnovabili, infatti, coprono il 17,4 per cento dei consumi totali nazionali e il 32 per cento di quelli elettrici – si legge ancora nel report – una crescita sicuramente importante ma non sufficiente per rispettare gli obiettivi climatici e di decarbonizzazione al 2050. Basti pensare agli oltre 16 miliardi di euro che l’Italia versa al settore oil&gas attraverso sussidi diretti e indiretti e al fatto che in molte regioni ad esempio manchi un piano per lo sviluppo di queste nuove tecnologie, con obiettivi chiari e ambiziosi nell’interesse dei territori e dell’intero Paese. Paradossale ancora di più in Regioni come la Sicilia, dove le potenzialità del solo solare potrebbero ridurre notevolmente tutti i consumi di gas e petrolio».
Anche perché, a ben vedere, il gioco non sembra valere la candela. «La Sicilia, tra attività a terra e mare, nel 2017 ha contribuito con il 17,8 per cento della produzione nazionale di petrolio, con 735mila tonnellate estratte nell’ultimo anno e il 3,6 per cento di gas con 201,2 milioni di smc, quantità che, stando agli attuali consumi, coprirebbero l’1,3 per cento del fabbisogno del nostro Paese attraverso la produzione di olio e lo 0,3 per cento con quella di gas. Numeri certamente poco incidenti, ma che nei territori interessati dai progetti di trivellazione portano a rischi ambientali importanti».
In ogni caso sull’Isola continuano ad accavallarsi, presso il Ministero dell’Ambiente, nuovi permessi di ricerca. Poco più di un quinto di queste istanze è presentato dalle società Eni ed Edison, «affidatari di complessivi tre permessi di ricerca, tra proprietà e comproprietà». E basta guardare anche le altre richieste per rendersi conto di come l’ex azienda petrolifera di Stato abbia ormai da tempo scelto di abbandonare in Sicilia il settore della raffinazione, ma non quello dell’estrazione. Considerando inoltre i «quattro permessi di ricerca di Eni Mediterranea Idrocarburi – scrive ancora Legambiente – che riguardano 2.929,2 chilometri quadrati, si arriva complessivamente ad interessare, tra mare e terraferma un’area di 4.350,3 chilometri quadrati, pari al 66,2 per cento della superficie totale destinata alla ricerca di idrocarburi».
Senza considerare che la presenza accertata, attraverso le concessioni di coltivazioni che si possono consultare sul sito del Ministero dell’Ambiente, è già considerevole. Per l’ambito petrolifero sono tre le società interessante: Eni, Edison e Irminio (una, a sant’Anna, è in cogestione tra le tre aziende). Le concessioni produttive in territorio siciliano sono in tutto otto (tre in mare e cinque sulla terraferma) per un totale di 904,3 chilometri quadrati. I pozzi produttivi presenti sono 162 di cui 87 risultano eroganti e 75 non eroganti. Le piattaforme nelle concessioni a mare sono in tutto cinque. E avrebbero potuto essere sei. Se non fosse stato per l’opposizione proprio di Legambiente, che sul progetto di ampliamento della piattaforma Vega (al largo di Pozzallo) ha presentato osservazioni contrarie. A gennaio del 2018 le osservazioni sono state accolte dal Ministero. Questo perché, secondo l’associazione, il progetto Vega B di Eni ed Edison era «tanto anacronistico che di fatto questa è l’unica richiesta, nei mari italiani, finalizzata alla realizzazione di una nuova piattaforma petrolifera a meno di 12 miglia dal sito di interesse comunitario Fondali Foce del fiume Irminio».
Rispetto al gas, su cui da tempo le compagnie stanno puntando, le concessioni produttive in Sicilia sono 15 (tre a mare e dodici sulla terraferma) per un totale di 1.166 chilometri quadrati. I pozzi produttivi presenti sono 208 di cui 138 risultano eroganti e 70 non eroganti. Anche in questo caso le piattaforme nelle concessioni a mare sono in tutto cinque. E anche in questo caso avrebbero potuto essere sei. Di fianco alla Prezioso, sul tratto di mare tra Gela e Licata, Eni aveva previsto in un primo momento la costruzione della sorella Prezioso K. Il progetto si è poi tramutato nel 2016 in un impianto di trattamento del gas a terra, attraverso delle condotte sottomarine. Nei giorni scorsi il cane a sei zampe ha diffuso il «bando per la fornitura di trasformatori, servizi di ingegneria e assistenza all’installazione dell’impianto del trattamento gas a terra»..
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