Perché la Sicilia non spende i fondi europei

Quale esperto della materia (membro del nucleo di valutazione del dipartimento della Programmazione della Regione Siciliana dal 2002 al 2005 e poi per alcuni mesi nel 2006 e successivamente incaricato di molte missioni di valutazione di programmi e progetti in vari Paesi dell’Unione Europea e adiacenti) mi è stata ripetutamente chiesta un’opinione sui perché del fallimento, in Sicilia, della spesa dei fondi europei nel periodo 2007-2013.

Non avendo più lavorato con l’amministrazione regionale siciliana dal 2007, non posso dire molto di fatti amministrativi contingenti e recenti. Posso però valutare e ricordare importanti problematiche inerenti alle modalità del “parto” dei Programmi UE (principalmente FESR e FSE) 2007-2013 per la Sicilia, e anche per altri Paesi come Lettonia, Bulgaria e Romania e oltre, dove ho avuto l’onore di lavorare: avendo così anche un termine di paragone.

Le motivazioni del fallimento, come accade sempre, non sono infatti singole, ma frutto di varie determinanti interne ed esterne alle amministrazioni e del Paese “recipiente” (ossia destinatario degli aiuti co-finanziati), in questo caso la Sicilia, e dell’entità donatrice, in questo caso l’UE.

Causa dei problemi numero 1. La prima motivazione, relativa ad alcune modalità di programmazione che considerai errori nel 2005-2006 e che poi si sono rivelati tali a detta di tutti, è che rispetto al periodo di “Agenda 2000” (cioè il 2000-2006 in cui i fondi furono per lo meno spesi con impatti evidentemente più visibili), la Commissione Europea credette giusto apportare una modifica rivelatasi nei fatti disastrosa. Questa fu l’abbandono del sistema di “documento doppio” e “multi-fondo”, per vari documenti “singoli” e “mono-fondo”. Errore, ahimè, madornale che non mancai di segnalare ai vertici della Regione già nel 2006. Senza alcun risultato.

Spiego meglio anche per i non addetti ai lavori. Nel 2000-2006 la Sicilia, come tutte le Autorità di Gestione, si dotò di una specie di doppio programma (o doppio documento di programmazione): uno, il cosiddetto Programma Operativo Regionale (il famoso POR), e un altro, il Complemento di Programmazione (il CdP) poco conosciuto dai non addetti ai lavori e che, per dirla in termini comprensibili a tutti, era una precisazione di ogni intervento (grande progetto, misura, linea di supporto alle imprese, etc.) sul territorio.

Il CdP aveva il pregio di chiarire modalità e regolamenti generali d’intervento sulla base delle linee strategiche stabilite nel POR. Inoltre, tutti i documenti di programma (e di attuazione come il CdP) erano organizzati nella logica di utilizzare anche più fonti di finanziamento per lo stesso intervento (o misura) così da favorire ovvie sinergie tra settori, luoghi, tipologie progettuali, tessuto economico esistente e programmato, etc.

Per il 2007-2013 questo sistema fu sostituito in ogni Paese europeo con un documento di programma per ogni fondo che non si giovava dell’ulteriore precisazione in un Complemento di Programmazione. L’idea era di snellire la burocrazia, ma in realtà, come feci presente in quegli anni, avrebbe finito per generare maggiore confusione, indeterminatezza delle disposizioni d’attuazione, burocrazia addizionale e labile dal punto di vista regolamentare nella redazione dei bandi d’attuazione e, in definitiva, ritardi maggiori e qualità minore.

Le precisazioni si sarebbero dovute fare via via per ogni bando, comunque rischiando, come poi avvenuto, di dilazionare enormemente l’attuazione e, quindi, di perdere molto più tempo di quello guadagnato nel periodo di programmazione generale, non riuscendo a spendere i fondi in tempo e con ovvi problemi di qualità d’attuazione e di sinergie tra le parti dei programmi. Guarda caso, le performance di attuazione dei programmi 2007-2013 risultano oggi disastrose rispetto ai sia pure limitati risultati del periodo 2000-2006.

Grazie a successivi incarichi, ho notato lo stesso problema in altri Paesi con gli stessi risultati negativi: nel piano dei trasporti della Romania, in alcuni piani co-finanziati dall’UE in Bulgaria, nei piani di sviluppo di alcune regioni della Lettonia (salvo la Curlandia per un fatto assolutamente contingente) e in determinati settori di questi tre Paesi ed altri. La Sicilia, quindi, ha scontato questo problema comune a tutti i Paesi e le regioni de cosiddetto “Obiettivo 1”, ossia quelle meno sviluppate dell’Unione. E non solo in queste.

Causa dei problemi numero 2. La seconda motivazione del fallimento è tutta interna alla Regione Sicilia che si trovò in una situazione direi speciosa, stranamente avallata o per lo meno non rimediata nei fatti dagli organi della UE, dello Stato e della Regione preposti allo scopo. Questa era la concentrazione delle funzioni di programmazione e di valutazione in una stessa struttura amministrativa facente capo ad un unico dirigente, al contempo responsabile della programmazione e della valutazione della sua stessa programmazione.

Insomma, la valutazione, soprattutto quella ex-ante, che presuppone ancor più di quelle ex-post una distinzione netta di funzioni, era una vera e propria farsa. Il capo della Programmazione (probabilmente suo malgrado) si “toglieva il cappello” del programmatore per mettersi in testa quello del valutatore degli stessi documenti da se stesso programmati…

Non è necessario andare oltre per capire che il processo amministrativo di produzione della programmazione in Sicilia per il periodo 2007-2013 fu quantomeno azzoppato, prima ancora di attuarlo. In pratica, veniva a cadere (più precisamente ad essere eliminato) il ruolo del valutatore ex-ante che segnalasse eventuali incongruenze in un clima di seria cooperazione tra l’unità di Programmazione da un lato e quella della Valutazione dall’altro, come d’altronde richiesto dal sistema di programmazione/valutazione dell’intera UE.

Segnalai il problema, rifiutandomi espressamente di svolgere funzioni di programmazione, quale membro di un nucleo di valutazione e non di una unità di programmazione. Purtroppo, le mie ripetute segnalazioni non portarono a nulla di concreto. L’amministrazione anziché all’accoglimento di istanze con presupposti più che ovvi, programmò nello stesso modo: i risultati di quei programmi sono oggi sotto gli occhi di tutti. Successivamente lavorai altrove dove ebbi la (magra) consolazione di notare a volte stesse problematiche, ma anche situazioni diametralmente opposte e dunque più efficienti.

Le cause 1 e 2 sopradescritte finirono per influire sulla qualità dei programmi 2007-2013, i quali, guarda caso, hanno avuto grandi difficoltà ad essere realizzati in vari Paesi europei e, segnatamente, in Sicilia.

Ovviamente, non è tutto. In Sicilia (e altrove) c’erano e ci sono altri grandi problemi relativi al funzionamento della ‘macchina’ burocratica e al reperimento di risorse umane capaci e, laddove reperite, al mantenimento delle stesse in un ambiente di lavoro efficiente. Di queste cose parlerò nel prossimo articolo.

 

(continua)

 

 

Gabriele Bonafede

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