«Il vino, per piacere».
Così è come lo ordiniamo al ristorante.
«Per piacere, il vino».
Così è come ho pensato di parlarne in questa rubrica.
Perché mi fa piacere rendere questa bevanda un po’ più vicina a chi la (de)gusta, da solo o in compagnia. Per piacere, appunto. Simbolo di gioia e condivisione, di amicizia e allegria, da sempre il vino ha arricchito di convivialità i più disparati attimi di vita dalle più antiche civiltà a oggi. Di vino se ne sono occupati in tanti nel corso della storia e ancora oggi questo fluido di emozioni ha un qualcosa di ancestrale magia che affascina sempre più persone, e sta abbracciando, nel corso degli ultimi anni, diverse professionalità e variegate anime.
Il primo sorso che voglio offrire, prima di addentrarci alla scoperta di questo poliedrico quanto complesso universo sensoriale, riguarda il senso di comprenderlo non solo come piacere ma come un viaggio. Un inizio di una infinita storia d’amore, di quelle spontanee e leggere. Di quelle che ti capitano per caso, così come è successo a me.
Quando lavoravo al ristorante, molti ospiti si dichiaravano affascinati dal mondo del vino, dal matrimonio con il cibo. Oltre che essere interessati a berlo, ovviamente, e a saperne quanto più possibile. «Sarebbe bello se potessi imparare qualcosa», «Sai tante cose, hai studiato molto?», «Piacerebbe anche a me abbinare il cibo al vino quando invito i miei amici a casa». Sono solo alcuni dei commenti a margine di una delle tante serate. E sarei davvero contenta se sempre più amici e colleghi si sedessero a tavola insieme parlando un linguaggio comune, mettendo da parte i tecnicismi a favore delle proprie reali sensazioni raccontando quello che è, non ciò che sembra.
Questo è un viaggio dove si parlerà il linguaggio dell’incontro: la via di un approccio più fluido al vino, più vicino a chi ha sete di conoscere e incontrare nuovi spunti, declinandolo il più possibile agli aspetti della nostra vita quotidiana. Non invitereste qualcuno che vi piace a prendere un caffè, o qui sarebbe meglio dire, un calice di vino? Quante storie d’amore sono nate davanti due calici e quante nuove passioni, insieme, sono state coltivate.
Provate a immaginare il vino come una persona. Qualcuno che non vedete l’ora di incontrare e conoscere sempre di più. Per comprenderla.
Come nel viaggio alla scoperta dell’altro, ogni cosa si rivelerà a suo tempo e ogni dettaglio ci rimarrà impresso. I colori, i profumi, il gusto.
Sono certa che in questo momento, solo al pensiero di un profumo, starete pensando a qualcuno. Vi capiterà anche con il vino, appena il vostro olfatto sarà ben rodato. Quando annuserete un Pinot Bianco penserete subito a quel profumo di mele bianche che avete nel frigo o che mangiate nella vostra cornice domestica a colazione. Anche questo è il vino, un richiamo continuo alla nostra vita.
Con umiltà, ma anche con consapevolezza, percorrendo storie di territori e di uomini vedremo come sia possibile che non esiste il Prosecchino o lo Champagne dell’Etna. Che il terroir non è la traduzione francese di territorio. Che il calice non è sempre mezzo vuoto, ma mezzo pieno.
Che tutto ciò che bolle non è frizzante. Che l’abbinamento cibo-vino segue le leggi del nostro corpo. Se vi tagliaste mentre affettate una succulenta fetta di carne, sono certa che tamponereste la ferita con dell’alcol. Sapete che un buon rosso, con un grado alcolico importante che ne da morbidezza, è proprio l’abbinamento corretto per quella carne pronta a essere cotta al sangue, per la qual vi siete tagliati il dito?
Apprezzare vuol dire dare un senso alle cose e aprirsi. Come grande è il mondo che si apre attraverso un calice. E se anche una sola parola di questo pensiero vi avrà spinto a ricercare sul web “champagne dell’Etna non esiste” per me sarà già motivo di gioia.
Alessia Zuppelli, da social media manager a sommelier iscritta alla Fondazione Italiana Sommelier-Sicilia, la sua missione rimane sempre la stessa: comunicare, anche attraverso un calice di vino.
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