Chiunque ha potuto leggere, sull’edizione di lunedì de “La Repubblica” l’articolo di Concetto Vecchio che riassume la puntata di Report su Catania. L’inviato l’ha scrupolosamente passata in rassegna: ha raccontato dei milioni di euro sprecati e dei debiti del Comune, dello tsunami e delle bollette dell’acqua, del rischio sismico e dei cani randagi, di Sant’Agata e di Santapaola, di vigili urbani e di nettezza urbana. Di tutto, insomma, fuorché del patto tra “La Repubblica” e l’editore de “La Sicilia” Mario Ciancio.
Tecnicamente, si tratta di una notizia bucata. Tanto più che questo, per Report, non era affatto un dettaglio secondario. Salvo che si tratti di un caso di censura, o di autocensura. Ma questa mirata distrazione verso le vicende catanesi non è affatto un caso isolato. Un anno e mezzo fa, la magistratura mise sotto inchiesta la giunta locale di centrodestra per la vicenda dei parcheggi (un affare cui è interessata anche la famiglia Ciancio). A darne notizia non fu “La Sicilia” (e questo non stupisce nessuno), ma nemmeno il quotidiano di Ezio Mauro. A raccontare per primo la storia fu invece il “Corriere della Sera”. Tecnicamente, si tratta di un altro buco.
C’è dunque una domanda che Report ha dimenticato di fare. Non andava rivolta al vecchio sindaco di Catania, e nemmeno a quello nuovo. Non andava fatta all’impiegato dell’Asl che legge il giornale sul posto di lavoro. Nemmeno a Mario Ciancio, che d’altra parte non avrebbe risposto. Non andava fatta a nessun catanese. Bisognava fermarsi un attimo a Roma, bussare alla porta del direttore di Repubblica e chiedere, a lui in persona, di dare pubblicamente conto del perché il suo giornale stringa in Sicilia, a Catania, accordi che violano la regola basilare della libera circolazione delle merci. Bastava piazzare un microfono davanti a Ezio Mauro e chiedergli in base a quale logica di mercato un quotidiano nazionale, che in sei province siciliane vende, con discreto successo, una propria edizione siciliana, rinunci poi a venderla in altre tre (Catania, Ragusa e Siracusa).
Il caso di un giornale stampato a Catania, con delle pagine siciliane che a Catania non possono esser vendute, andrebbe spiegato più diffusamente ai telespettatori italiani. Sarebbe bello che in altri luoghi d’Italia – e dunque anche nella redazione di Repubblica – si cominciasse a parlare del fatto che, se il buio delle strade di Catania ha responsabili catanesi (o napoletani), il buio dell’informazione ha anche altri colpevoli. Editori, ma anche giornalisti altrove illuminati; ma che, dalle nostre parti, preferiscono tenere la luce spenta.
Nota. Lo scorso cinque gennaio Roberto Natale, presidente nazionale del sindacato dei giornalisti, ha dato notizia della prossima presentazione di un ricorso all’Antitrust proprio sul caso Repubblica. Un segnale di attenzione di cui attendiamo di conoscere gli sviluppi.
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