Più di 200mila immagini pedopornografiche sequestrate. Una rete di nove persone – tra fornitori di foto e video e i rispettivi clienti – distribuita in tutta Italia. Ma soprattutto tre minori vittime di abusi adesso identificati. Sono i numeri dell’operazione Tor della polizia postale di Catania, «ma è l’ultimo elemento a rendere importante questa indagine», spiega il dirigente Marcello La Bella. Perché le vittime di pedofilia online, di solito senza volto e senza nome, restano spesso sole. «In questo caso, invece, abbiamo già inviato al tribunale dei minori la documentazione relativa ai loro casi – aggiunge il sostituto procuratore etneo Marisa Scavo – e si procederà per verificare il contesto familiare ed eventuali responsabilità dei genitori». In almeno due casi, uno a Catania e uno a Roma, già evidenti dalle prove raccolte dagli agenti.
Ma non è questo l’unico elemento di novità dell’indagine. «Cominciata su nostra iniziativa, senza alcuna segnalazione», sottolinea La Bella, grazie ad alcuni agenti infiltrati la polizia postale etnea è riuscita a scavare nel deep web. La Rete più profonda, quella che va oltre i social network ormai conosciuti da tutti e utilizzati dai più, anche per fini pedopornografici. Un mondo – sotto la superficie popolata da servizi come Facebook, Youtube e il meno noto ma diffuso 4chan – che sfugge ai motori di ricerche con bacheche online dai nomi che poco lasciano all’immaginazione: Hard candy, Pedoplanet, sTORage. Spazio web, quest’ultimo, che prende il nome proprio dal servizio utilizzato dai pedofili e dai loro fornitori per garantirsi l’anonimato online. E che dà anche il nome all’indagine: Tor. Un software gratuito e libero, scaricabile sul proprio pc – e predisposto per tutti i sistemi operativi – che rende irrintracciabili località e abitudini online di chi lo utilizza. Nato, com’è tradizione nella filosofia hacker, per permettere a chiunque di essere sempre connesso, anche in Paesi in cui la rete Internet è sotto censura, il servizio viene oggi utilizzato sempre più spesso per scopi illeciti. «Non solo pedopornografia, ma anche terrorismo e cracking», spiega La Bella.
«Abbiamo però dimostrato che questo presunto anonimato è in realtà un falso mito», continua il dirigente della polizia postale etnea. Eppure un aiuto è arrivato ancora una volta da più tradizionali metodi di indagine, come le intercettazioni ambientali e telefoniche dei nove sospettati. Quattro di loro sono stati arrestati. Tra questi una donna, 48 anni, di Catania, e un uomo, 41 anni, residente a Roma, già trasferito in carcere. Entrambi sono accusati di aver violentato più volte i propri figli – un bambino e una bambina rispettivamente di dieci e nove anni – e di aver divulgato il materiale foto e video delle violenze online. Tra i richiedenti delle immagini, un uomo, 64 anni, di Torino e un 28enne romano. Sul pc di quest’ultimo la polizia ha trovato 75mila file pedopornografici tra cui alcune foto di nudo di una 12enne che l’uomo avrebbe adescato su Facebook.
«Tra i clienti c’è una continua richiesta di immagini fresche e soprattutto di materiale autoprodotto – spiega La Bella – A volte su compenso». A svolgere il ruolo di procacciatore per se stesso e per gli altri utenti della deep web sarebbe stato l’uomo residente a Torino, parente della madre catanese arrestata e protagonista di «un set di immagini dove, alle volte travestita da suora, abusava sessualmente del proprio figlio anche con l’uso di oggetti religiosi». Un caso di cronaca che risale ad alcuni mesi fa e che oggi si sa essere stato solo l’inizio dell’indagine. Oltre ai quattro arrestati – che adesso dovranno rispondere a vario titolo di atti sessuali con minori, produzione, commercio, divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico – per altri cinque utenti è scattata una denuncia.
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