«Assolutamente no, non c’è stata alcuna paura del segretario Fausto Raciti di confrontarsi con il partito, una serie di equivoci aleggiano su questa mancata convocazione della direzione regionale del Pd ed è meglio chiarirli». A parlare è il responsabile regionale dell’organizzazione del Pd, Antonio Rubino replicando ai contenuti di un’intervista rilasciata ieri a Meridionews da Giuseppe Bruno, presidente dell’Assemblea regionale dei dem che aveva chiesto un passo indietro di Raciti e auspicato un cambio di marcia dopo la sconfitta alle regionali del 5 novembre. Al centro dell’attenzione, la direzione regionale, convocata per lunedì scorso e poi revocata dallo stessi segretario che l’ha rinviata andata da destinarsi. «È giusto specificare una cosa – dice Rubino – la corrente che chiede le dimissioni di Raciti è una parte dell’area Renzi che fa riferimento a Davide Faraone. L’area Orlando – assicura l’esponente dem – al di là delle posizioni più radicali del parlamentare Beretta, chiede solo una giusta fase di riflessione».
Rubino, secondo lei che sta succedendo?
«Sia chiaro, Raciti era pronto a convocare la direzione subito dopo le elezioni. Poi si è tenuta la direzione nazionale e subito a seguire la Leopolda, rispetto alla quale non c’è sembrato opportuno convocare in contemporanea la direzione. In questi giorni Renzi ha detto a Raciti “vengo in Sicilia, meglio convocare la direzione dopo il mio viaggio”».
Nel corso della direzione si sarebbero prese delle decisioni che avrebbero creato tensioni interne?
«Non trovare un clima sereno non avrebbe fatto bene alla venuta di Matteo Renzi. A nostro avviso è stato meglio accogliere il segretario nazionale in tutta serenità».
Insomma i renziani prima chiedono il rinvio della direzione e poi accusano Raciti di non farlo?
«Prima ci hanno detto di farla con le dimissioni di Raciti, poi di non farla, ma le schermaglie non ci interessano. Un partito esiste se discute, preferibilmente in maniera seria».
Si mettano d’accordo quelli dell’area Faraone?
«Se il tema è affrontare le responsabilità della sconfitta alle Regionali, siamo disposti a farlo con grande civiltà e democrazia. E sopratutto guardando all’insieme delle responsabilità. Questo partito, però, ha bisogno di una grande stagione di unità, non servono prove muscolari o conflitti. È chiaro che un conflitto che vuole che il segretario regionale si dimetta subito o prima del congresso non si ferma a domani, ha le sue conseguenze. E non mi pare sia una buona pratica alimentare questa conflittualità».
I contrasti interni passano anche dalla scelta del capogruppo all’Ars. Avete fatto delle proposte?
«Non abbiamo un’idea di chi debba fare il capogruppo. Per noi potrà essere ognuno degli undici parlamentari. Il tema è costruire la nomina del capogruppo a maggioranza, e quindi inaugurare la nostra esperienza all’Ars con una divisione del Pd oppure sederci a un tavolo e scegliere qualcuno in cui si riconosca tutto il partito. Noi siamo sulla seconda opzione sia sul capogruppo che sugli assetti del Parlamento regionale».
Chi?
«Non mi faccia fare nomi, diverse personalità possano esprimere questa unità del gruppo. Ripeto, per quanto mi riguarda, tutti e undici».
Nella riunione di ieri c’erano anche gli esponenti dell’area Faraone-Renzi?
No solo gli esponenti che fanno riferimento all’area del segretario Raciti. Abbiamo discusso di due argomenti: un’analisi del voto alle Regionali – cosa a cui siamo disponibili in qualsiasi momento, anche affrontando le responsabilità di alcune scelte – e un percorso di riorganizzazione del partito in vista delle Politiche e che va costruito subito assestando una valida opposizione governo Musumeci».
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