Mafia, lo spettro di pizzo e omertà nel centro storico «Lì i putiari addirittura si offendono se tu non ci vai»

«È il centro storico, non si può fare come la periferia. Resuttana, San Lorenzo non è come Capo, Ballarò e Vucciria…lì solo a Ballarò sono duemila putie e pagano tutte». A dirlo più volte è Sergio Macaluso, arrestato ieri col blitz Talea: uno dei componenti della triade collegiale, secondo gli inquirenti, a capo del mandamento di Resuttana. «E non si lamenta nessuno!», chiosa il suo interlocutore, il cognato Corrado Spataro. È il 3 aprile 2015 e i due sono intenti a discutere chiusi dentro la Seat Ibiza di Macaluso, che con amarezza elenca le differenze fra i mandamenti della città. «Minchia … soldi, mangiare, vestiti, scarpe … è un altro tipo di rione», insiste. Il centro storico, insomma, è tutta un’altra cosa. Lì gli affari, per Cosa nostra, sembrano girare ancora. Anzi, a sentire parlare il presunto boss, i commercianti lì quasi si offendono se il picciotto di turno non passa dal loro negozio a prendere qualcosa, che sia sottoforma di soldi o di merce.

«Il pescivendolo prende dieci casse di pesce e le regala….Gli piace ai putiari fare queste cose, anzi si offendono se tu non ci vai». È sempre Macaluso che parla. Spera che la riorganizzazione dei mandamenti di Resuttana e San Lorenzo, quelli colpiti dall’ultima operazione, possa comportare una sorta di fusione con gli altri già ricostituiti, in modo che ne venga fuori una cooperazione da poter sfruttare a proprio vantaggio. «Sono organizzati, minchia ventimila sono? – dice -. Bar, forni, tutti a disposizione di loro, non gli manca niente, questo è firriare». Per assoggettare completamente il territorio, insomma, serve gente, e tanta. Ma che sappia il fatto suo. «Sono preparati di tutte cose…qua manco i picciotti ci sono! – si lamenta Macaluso -. Là ti pregano per venire dietro, per arruolarsi, ti priano i picciotti per venire appresso a te». Un esercito di soldati formati e preparati, che per piegare i commercianti al loro volere non hanno neppure bisogno di ricorrere, nella maggior parte dei casi, alle maniere forti.

Un quadro che stona, e non di poco, con uno degli ultimissimi blitz, quello che ha sgominato il clan che controllava il quartiere di Borgo Vecchio, dove invece la maggior parte dei commercianti ha denunciato pressioni e intimidazioni ricevute dopo aver detto di no alla richiesta di pagamento del pizzo. Si è parlato di rivoluzione, di passi avanti, ed era appena due mesi fa. La recente indagine, invece, lascia emergere un’altra faccia di Palermo, che però aveva fatto capolino anche con l’operazione Falco messa a segno a novembre scorso e che ha colpito il mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù: già in quel caso proprietari e gestori di attività soggette al racket delle estorsioni non avevano denunciato autonomamente e avevano deciso di parlare solo dopo essere stati individuati e convocati dagli inquirenti. Cambiano mandamenti e quartieri, ma la musica insomma sembra restare la stessa, ancora.

E proprio nel centro storico, stando a sentire il paragone di Macaluso con gli altri mandamenti intercettato due anni fa, in caso di diniego basta esibire le proprie parentele e amicizie: «Si scendeva a Ballarò a dire “ma dimmi una cosa, Nicò è tuo cugino? Glielo fai sapere che prende qualche cosina? Vedi che ogni tanto passano, prendi duecento euro, che a te non ti cambiano la vita e glieli metti in tasca ai ragazzi, che li dividono ai carcerati». Meglio fare così, che bruciare direttamente automobili e negozi della gente, secondo lui. D’altronde, con i tempi che corrono, i sodali sono disposti ad accettare ogni forma di regalìa: «Senza pretese e senza niente, amunì per le feste. Può essere pure un regalo di merce, teglie di pizza, cose, come può essere uno prende cinquecento euro e gliele fa avere, tanto per aiutarli», dice sempre Macaluso. 

Silvia Buffa

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