Pazzi in cucina

Per nove mesi, al mio primo anno di Università, ho lavorato nella cucina di un ristorante. E lì ho fatto una scoperta: se vuoi fare questo lavoro, e vuoi farlo bene, devi essere pazzo. Per questo non mi ha sorpreso più di tanto la figura di Shayn, lo Chef esaurito di “Soul Kitchen”. Sappiate che i cuochi sono davvero così. Certo non lanciano coltelli affilati a mo’ di minaccia nè sbraitano come Hitler, ma sbottano non appena vedono che invadi la loro cucina, danno di matto se qualcuno osa dire loro come cucinare una pietanza.

Quello che mi ha sorpreso del film di Faith Akin è stato invece il tono scanzonato, esilarante, incredibilmente solare nonostante la location fosse un Amburgo invernale, cielo grigio e strade bagnate di pioggia. Se pensiamo che Akin è l’artefice de “La sposa turca”, un capolavoro ma anche un film duro e struggente, dobbiamo dargli merito di saper essere incredibilmente poliedrico. Con “Soul Kitchen” regala uno sguardo buffo e divertito verso quel sottobosco di arraffoni e sbandati che bazzicano in una Germania (Amburgo, per l’esattezza) notturna e metropolitana. 

La vicenda raccontata, in effetti, ha un che di tragicomico, ma senza mai virare nell’eccesso, nel cattivo gusto o peggio nel ridicolo involontario. Nonostante il protagonista, Zinos, sia una specie di Fantozzi che ne passa di tutti i colori: la fidanzata vive a Shangai e sono costretti a fare sesso via Skype, la sua schiena cade a pezzi sotto il peso di una lavastoviglie che tritura i piatti, il suo ristorante rischia di chiudere e passare nelle mani di un losco capitalista. Come se non bastasse ci si mette anche il fratello mezzo mafioso Illias, appena uscito di prigione e piombato sul suo ristorante per prenderne le redini, con risultati disastrosi. Se considerate anche che nel “Soul Kitchen” vive un vecchio rompiscatole, versione umana del marinaio barbuto dei “Simpson”, avrete un’idea di quanto sia surreale e irresistibile il menù offerto dal regista Akin, condito anche da una colonna sonora che miscela Soul, R&B, Hip Hop. «Musiche che – come esclama Zinos agli esattori fiscali che gli portano via lo stereo – sono il cibo dell’anima».

Sembra incredibile che un film del genere abbia vinto il Gran premio della giuria all’ultimo Festival di Venezia, se pensiamo che di solito le giurie vanno in estasi per mattoni tristi e spesso incomprensibili (e Cannes quest’anno ha confermato tale tendenza). In fondo “Soul Kitchen” è un film che ha l’unica ma immensa capacità di strapparti delle grasse risate, senza pretendere di mostrarti tutto il background dei personaggi ma anzi esasperandone i tratti caricaturali e folli, e al diavolo l’introspezione psicologica!

Quando Zinos sta per raccontare  la storia della sua vita, la scena si interrompe bruscamente e passa a quella successiva, e noi spettatori non conosceremo mai nulla del protagonista e del suo passato. Eppure, già dai primi minuti lo adoriamo, tifiamo per lui, soffriamo per lui, ridiamo per e con lui. E alla fine, la risata, quella spontanea, sincera, è un modo come un altro di imparare qualcosa, di recepire la morale della storia, la lezione dell’autore, il messaggio del film. 

E qual è il messaggio di “Soul Kitchen“? Ci sto ancora pensando. Per adesso posso solo dire che mi sono divertito, ci siamo divertiti, ed è stato il modo perfetto per chiudere questa prima parte del “Learn by movies” al cinema Odeon, prima di trasferirci tutti all’Arena Argentina. E quindi grazie, di cuore, per questo primo gustoso assaggio. 

Roberto Zito

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