Sono passati 25 anni dalla sua inspiegabile chiusura, eppure sono ancora tanti gli interrogativi senza risposta sul sito minerario di Pasquasia, in provincia di Enna. Chi dovrebbe rispondere preferisce tacere. Lo sa bene il giovane videomaker Vincenzo Monaco che più di un anno fa decide girare il film Paquasia, «una ricerca, una storia, un documentario per dare vita e voce a ciò che in silenzio lentamente muore». Ricostruire dal principio l’intera storia della miniera, attualmente abbandonata, «per ripercorrere e rivivere le vicende che hanno visto nascere e crescere questa pulsante realtà produttiva», spiega il regista.
Proprio oggi 27 luglio, giorno in cui ricorre il 25esimo anniversario della chiusura della miniera, il filmaker aveva proposto alle autorità competenti di organizzare una proiezione del docufilm davanti i cancelli della miniera, «ma purtroppo – sottolinea – questa opportunità mi è stata negata». Sarà dunque possibile acquistare e vedere l’anteprima del documentario in streaming o scaricandolo dal sito Pasquasia.it.
Pasquasia è il secondo progetto documentaristico indipendente di Vincenzo Monaco. Ennese con la passione per il rugby e il cinema, laureato a Torino in Cooperazione internazionale, il giovane regista realizza il suo primo lavoro, Ci chiamano diversi, finanziato con il crowdfunding e incentrato sui diritti Lgbt. Quindi, si dedica allo studio della storia di Pasquasia, attingendo a svariate fonti. «Mi sono documentato parecchio. Ho consultato materiali visivi e cartacei dell’epoca, letto libri, studi sul caso, articoli di giornale». Il passo successivo è stato raccogliere le testimonianze degli operai che hanno prestato servizio in miniera. «Convincerli a raccontare le loro esperienze davanti alla videocamera è stata la parte più difficile ma anche la più divertente».
I loro ricordi sono precisi. «Ho iniziato a lavorare il 15 giugno 1959 per essere precisi alle 14», puntualizza Giuseppe Contino. «Pasquasia – commenta il regista – era un miniera di sali potassici dalla quale si estraevano migliaia di tonnellate di kainite, minerale che veniva utilizzato nel settore dei fertilizzanti e che riforniva l’industria italiana ed estera». Si lavorava a turni e ogni piccolo errore poteva costare la vita. «Per fare questo lavoro bisognava affidarsi al destino», racconta Sebastiano Vicari.
Il docufilm tenta di ricostruire le condizioni lavorative dei lavoratori, la tormentata vicenda della gestione, prima pubblica e poi privata, della miniera, l’epoca d’oro dell’’Italkali, la presenza dell’Ente nazionale per l’Energia Atomica a Pasquasia dopo il disastro di Chernobyl, le cause che portarono alla chiusura e le numerose indagini «ancora poste sotto segreto».
Non si spiega perché uno dei siti più produttivi a livello mondiale chiuse i battenti. Il 27 luglio 1992, proprio nel giorno di paga dei lavoratori come ricorda uno loro, Giovanni Comito, si arrivò al fermo dell’attività estrattiva. «Il giorno in cui avrebbero dovuto darci i soldi, ci fecero trovare i cancelli chiusi. La produzione era sospesa». A distanza di anni, resta un mistero. «Il docufilm – confessa Vincenzo – lascia aperte tante strade perché nessuna di queste è mai stata supportata da prove evidenti. Qualcuno parla di improduttività, altri parlano di pressioni internazionali, qualcun altro vocifera che l’Italkali (l’azienda privata che gestiva il sito, ndr) non ha più alcun interesse nei confronti di Pasquasia. Infine, c’è chi parla di scorie radioattive».
A proposito del presunto rischio radioattivo, recentemente la Procura di Caltanissetta – che ha indagato sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nei lavori di bonifica di cemento, amianto e materiali ferrosi – ha escluso la presenza di scorie dentro la miniera. Dopo sopralluoghi e analisi, il comando provinciale dei carabinieri di Enna ha accertato solo l’esistenza di «un ampio deposito di sali potassici, residuo della pregressa attività estrattiva, dotato di naturale bassa radioattività».
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