«Parlo da padre, ho figli come voi: cambiate vita» L’appello del lavoratore ai suoi presunti estortori

Per arrivare al cantiere bisognava prendere la stessa strada che per andare dai carabinieri. Una vicinanza non piacevole per Francesco Motta e Salvatore Ponzo (entrambi classe 1986), arrestati la scorsa settimana nell’ambito dell’operazione Dokss della procura di Catania. Accusati di essere parte del gruppo di San Giovanni Galermo della famiglia Santapaola, le cimici degli investigatori li seguivano su scooter, auto e cellulari. Gli strumenti che, pur con prudenza, avrebbero usato – secondo l’accusa – per occuparsi delle estorsioni per conto della cosca. Il 9 maggio 2014, però, il giro in auto dei due acquisisce una piega inaspettata: non solo sarebbero dovuti passare di fronte alla caserma dei militari di Gravina di Catania («Ciccio, io però non ci voglio passare», si lamenta Ponzo), in più si sarebbero trovati di fronte un lavoratore che, dopo averli scambiati per due aspiranti operai in cerca di lavoro, li invita alla redenzione

Quella mattina le microspie degli investigatori seguono gli spostamenti di Motta e Ponzo da una ditta edile all’altra. Prima di cominciare il giro, sarebbero stati al chiosco-bar Dokss di Vincenzo Mirenda – dal quale l’inchiesta prende il nome – e il titolare, arrestato giorni fa anche lui, non avrebbe fatto mistero del suo timore: che le telecamere dell’esercizio commerciale fossero intercettate, grazie al lavoro di «un hacker», dalle forze dell’ordine. «Qua non è che si deve stare attenti solo agli hacker», dice – appena salito in auto – Ponzo a Motta, ridendo. La destinazione è via Etnea, a Gravina di Catania. C’è il cantiere di un imprenditore che sta eseguendo opere di movimento terra. «Tuo fratello non è in galera?», chiede Motta al titolare. «Sì», ammette. La discussione poi si sposta rapidamente sulla «messa a posto». «Qualcuno deve venire», conviene il lavoratore. Solo che, precisa, da loro qualcuno c’è già stato, perché l’azienda è la stessa che si occupa della costruzione di alcune villette in via Sebastiano Catania. «Già voi siete venuti – puntualizza – lo state capendo? Parlo con i fratelli Nizza di Librino e ti faccio mandare un messaggio».

La questione si chiude là e Salvo Ponzo e Ciccio Motta si spostano da un’altra parte, sempre a Gravina. Stavolta, però, molto vicini alla caserma dei militari del Comune che confina con Catania. «Com’è combinata qua la cosa?», domanda Motta a un dipendente che svolge mansioni di guardiano e che gli va incontro davanti al cantiere. «Noi qua abbiamo già finito», risponde l’uomo. Probabilmente pensando che si trattasse di due operai che andavano a presentarsi per chiedere di lavorare. Motta però insiste: «Che voi avete già finito lo so. Però è giusto che vi dovete mettere a posto». «In che senso ci dobbiamo mettere a posto?», replica quello. «Siete messi a posto qua, no?». «A postissimo». «E con chi?». «Ah?». Per un po’ i due sembrano non capirsi finché, dopo qualche secondo, l’epifania. «Aspettate due minuti che arriva il principale», dice il dipendente, che del «principale» è anche fratello. Motta, però, non si fida. «Se io aspetto due minuti, io che ne so che viene qualche pattuglia? Non per mancanza di fiducia a lei – si giustifica – Però lo sa com’è: chi si è guardato si è salvato». 

La conversazione continua per un po’, verte su dettagli organizzativi. Poi il fratello del titolare vira sull’inaspettato: «Io c’ho figli quanto a voi – inizia – Siete ragazzi». «E lei c’ha i capelli bianchi», gli dà manforte Ciccio Motta. «Pensate per il bene, ascoltate a me – continua l’uomo – Non è che ve lo dico per volere essere cattivo, ve lo dico per volervi bene». «Lo so, lo so – taglia corto Motta – Io la ringrazio. Però purtroppo questo sappiamo fare noialtri, ormai sono scelte di vita». «Ascoltate a me che vi posso venire padre – conclude quell’altro – Cambiatela questa scelta di vita. Per voi stessi, va’». La conversazione si chiude: il titolare ancora non c’è («Ma dove se le sta comprando queste sigarette?») e Ponzo e Motta vanno verso la macchina, ridendo per la chiacchierata appena conclusa. «Questo, per dire in questa maniera, vuol dire che già ha fatto l’indiano (ha fatto finta di non capire, ndr) un’altra volta […]. Bisogna vedere se è a postissimo con le guardie», commenta Ponzo. In realtà, «le guardie» in quel caso non c’entrano. Perché tutt’e due i titolari delle ditte da cui i due si sarebbero presentati il 9 maggio di tre anni fa negano di avere ricevuto qualunque richiesta estorsiva. Motivo per il quale sono entrambi indagati per favoreggiamento.

Luisa Santangelo

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