Le piogge tanto attese in Sicilia sono finalmente arrivate, ma il sollievo per il territorio devastato dalla siccità è durato poco o nulla. Nonostante le precipitazioni, le dighe continuano a rimanere a secco e, in alcuni casi, l’acqua che si riesce a raccogliere viene rapidamente rilasciata in mare. Il paradosso è evidente: l’acqua, preziosa e scarsa, scivola via senza poter essere trattenuta, a causa della scarsa manutenzione e di un sistema di bacini ormai inefficace. A pochi chilometri da Gela, a Comunelli, uno dei bacini artificiali più colpiti dalla crisi idrica, la pioggia accumulata non può essere conservata. Le paratie della diga vengono infatti aperte per ragioni di sicurezza e l’acqua viene sversata in mare sotto gli occhi increduli degli agricoltori.
Questi ultimi, già messi in ginocchio da mesi di siccità, vedono per l’ennesima volta svanire una risorsa che avrebbe potuto alleviare, almeno temporaneamente, la loro situazione. La diga di Comunelli diventa così il simbolo della crisi del sistema idrico locale. Nonostante le piogge, il bacino non riesce a trattenere l’acqua per mancanza di interventi strutturali. Uno scenario che si ripete anche al bacino del Disueri, dove anche l’acqua piovana accumulata finisce in mare. Per gli allevatori della zona e per le tante aziende agricole anche questo è l’ennesimo colpo: l’acqua tanto necessaria se ne va, senza che il territorio riesca a trarne beneficio.
In questa situazione di emergenza si parla di riutilizzare le acque reflue come una possibile soluzione. Tuttavia, i tempi per implementare questo sistema sono lunghi e gli operatori del settore guardano a questa prospettiva con scetticismo. Mentre la crisi idrica peggiora, la possibilità di un collasso definitivo del settore agricolo diventa sempre più concreta. E il paradosso dell’acqua – che pur cadendo dal cielo, finisce in mare – continua a rappresentare la drammatica realtà di un territorio lasciato senza risposte.
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