Siamo sicuri che nella strada che conduce alla salvezza il Palermo ha preso la direzione giusta? Nascondersi dietro un dito, in questo caso dietro il pareggio a reti bianche (che definire scialbo è un eufemismo) ottenuto ieri in casa dell’Empoli, non ha molto senso. Se la squadra chiamata a lottare in ogni partita per raggiungere il traguardo è quella vista al Castellani i tifosi hanno dei validi motivi per cui preoccuparsi. Se il parametro di riferimento in base al quale calcolare le percentuali salvezza è la prestazione fornita contro i toscani è meglio che i sostenitori rosanero si preparino subito ad un rush finale all’insegna della sofferenza. Nell’immediato post-partita Vazquez ha detto che il Palermo ha perso due punti. Giudizio condivisibile. Il punticino strappato in terra toscana muove la classifica ma il bicchiere resta ugualmente mezzo vuoto. I rosanero non hanno rischiato quasi nulla e hanno concesso poche occasioni all’avversario ma avrebbero potuto fare molto di più e, soprattutto, avrebbero potuto sfruttare in maniera diversa il momento negativo della formazione di Giampaolo, copia sbiadita della squadra brillante ammirata nel girone di andata. Contro un Empoli involuto e con motivazioni inferiori in virtù di una salvezza praticamente acquisita, il Palermo aveva tutte le carte in regola per conquistare l’intera posta in palio e non lo ha fatto per demeriti propri. La paura di perdere dettata dalla delicata situazione in classifica certamente ha influito sul piano psicologico ma il vero problema è che la squadra ha un deficit qualitativo che non le permette di assecondare la propria volontà e superare determinati step.
Dopo le sconfitte rimediate nei due test proibitivi contro Inter e Napoli ci si aspettava dai rosa delle risposte di un certo tipo in una partita abbordabile e ampiamente alla portata. L’esito, al di là del risultato comunque positivo, sa di bocciatura. Su vari fronti. Le lacune dei singoli (ad esempio Struna, ma non solo lui, ha confermato la propria inaffidabilità a prescindere dalla nitida palla gol sprecata nel secondo tempo) inevitabilmente hanno degli effetti negativi sul funzionamento di tutti gli ingranaggi e sul rendimento del collettivo, da bacchettare ieri soprattutto per il modo in cui ha interpretato la gara. E la supremazia territoriale esercitata nella porzione finale del match complice il calo fisico degli avversari non cancella le macchie evidenziate nel resto dell’incontro. Le squadre che giocano per salvarsi scendono in campo con il coltello tra i denti, non mollano mai e hanno quell’animus pugnandi tipico di chi sa che deve combattere in ogni istante per questioni di sopravvivenza. Una mentalità che ancora manca ai rosanero, più ordinati rispetto al recente passato dal punto di vista tattico (il 4-1-4-1 disegnato da Novellino con Vazquez «falso» centravanti ha dato un certo equilibrio) ma poco incisivi. E soprattutto poco «cattivi», privi di quel temperamento che in determinate circostanze prevale sui limiti di natura tecnica e supera altri ostacoli interni spostando l’asse di una partita.
Come fai a vincere se giochi costantemente sotto ritmo? Come fai a vincere se entri in area avversaria raramente e tiri in porta con il contagocce? A Novellino, deputato a rispondere a queste domande in qualità di allenatore, andrebbe posto un ulteriore quesito: se devi vincere una partita, e ne hai la possibilità contro un Empoli obiettivamente modesto, perché tenere in panchina per tutta la partita un giocatore come Gilardino in grado di uscire dal proprio bagaglio una giocata decisiva? L’ordine tattico va tutelato ma sacrificare in nome di questo dogma delle risorse utili e potenzialmente vincenti può essere controproducente. Non sappiamo se Gilardino avrebbe lasciato il segno. Certamente è un attaccante che sa cosa significa segnare e per vincere, al di là della frase fatta, bisogna fare gol. Nell’ultimo segmento della partita il tecnico rosanero ha optato per l’ingresso in campo di Bentivegna (al posto di Quaison) per dare nuova linfa al fronte offensivo. Il messaggio è positivo perché dare spazio ad un prodotto del vivaio è una mossa che non deve passare in secondo piano ma probabilmente il talento di Sciacca classe ’96 andava inserito in un altro momento e in un altro contesto. E in ogni caso non è Gilardino. Non ha lo stesso killer-instinct del centravanti piemontese che, pur non essendo particolarmente dinamico, in area sa essere letale.
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