Non abbiamo capacità divinatorie e, dunque, non sappiamo proprio chi vincerà queste primarie del centrosinistra a Palermo. Da quanto si sente in giro, fra i tre candidati più accreditati – Borsellino, Ferrandelli e Faraone – ci dovrebbero essere un testa a testa mentre la quarta, Antonella Monastra sarebbe molto distanziata. Queste, naturalmente voci che, ed è accaduto in altre occasioni, potrebbero essere smentite dal voto di domani.
Qualcosa la si potrebbe invece dire sugli effetti del voto, su cosa un risultato piuttosto che un altro determinerebbe all’interno dei partiti e nel sistema delle alleanze che gli stessi partiti hanno messo in campo. Se, infatti, vincesse la Borsellino, i veri vincitori sarebbero Bersani a Roma e Lupo a Palermo. Quel voto significherebbe chiusura delle collaborazioni con il centro e collocazione del Partito democratico a sinistra. Sarebbe inoltre la vittoria di Di Pietro, con e contro Orlando, e quella di Vendola, sempre più accreditato come il leader che meglio di tanti altri ha compreso il valore dirompente delle primarie.
Se, invece, vincesse Ferrandelli, non vincerebbero certo i movimenti, sono purtroppo ben poca cosa per essere accreditati dal risultato, i veri vincitori sarebbero i dissidenti del Partito democratico, i Cracolici e i Lumia che, da lungo tempo, si scontrano con il segretario politico regionale per imporre una politica che consolidi e legittimi l’alleanza con il presidente della Regione Lombardo. Vincerebbero ancora alcune porzioni dell’ex Margherita, parlo sia degli uomini di Vitrano che del gruppo Genovese-Papania, insofferenti nei confronti del segretario politico Lupo e, anche loro, ma a diverse condizioni, attenti al rapporto con i centristi. In ogni caso, la vittoria di Ferrandelli sarebbe la sconfitta di Orlando e metterebbe in crisi, forse in modo definitivo, la leadership nazionale di Bersani che, in fatto di primarie, non parrebbe essere molto fortunata.
Più difficile capire cosa accadrebbe se vincesse Faraone – a parte un colpo basso che incasserebbero il segretario nazionale e regionale del partito che potrebbe dare ragione a chi predica che, soprattutto Bersani e con lui quel certo ceto politico che lo sostiene ha fatto il suo tempo e che sarebbe ora di cambiare, aprendo le finestre del Partito democratico per fare circolare un po’ di aria nuova – mi sembra che la vittoria di Faraone si presti meno a stravolgimenti epocali. Sarebbe, mi pare, quella che meno delle altre potrebbe essere utilizzata come strumento per consolidare alleanze o per decretare o legittimare scelte che, seppure importanti, trovano la vita della città come riferimento incidentale e non come argomento principale. A questo punto, mentre i nostri protagonisti sparano le ultime cartucce, fra accuse e polemiche, quelli che stanno dietro, i pupari di cui abbiamo fatto cenno, aspettano inquieti un risultato che, forse, potrebbe decidere il destino politico di qualcuno di essi.
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