Se si dovesse riassumere in una parola l’aspirazione della gente di Palermo ora che ci si avvicina il momento della verità, mi riferisco al voto amministrativo della primavera prossima, si dovrebbe far ricorso al termine normalità, cioè vivere in una città normale come lo sono tante città del mondo. Una città nella quale non sia necessario per definirla il ricorso alla banalità di certi slogan quali, ad esempio, di capitale della mafia o dell’antimafia. Una normalità che da molto tempo è stata negata, sì dalla cattiva politica, che ha prodotto mostri amministrativi ma, anche, e per correttezza è giusto evidenziarlo, dalla cultura provinciale che segna ancor oggi profondamente la vita cittadina.
A quest’ultimo proposito c’è da ricordare che di fronte alle macerie lasciate dalle amministrazioni che si sono succedute dal dopoguerra in poi, non c’è infatti stata, se si fa eccezione di qualche rara occasione, la volontà manifesta della gente di occuparsi positivamente della cosa pubblica assumendosi la responsabilità di manifestare una forte indignazione, per quanto non ha corrisposto nel tempo ai canoni di buona amministrazione.
Parlo di indignazione, cosa ben diversa dal mugugno e dalle lamentele, magari scambiate al bar che, come si sa, difficilmente si trasformano in concreta proposta. Normalità significa possibilità di esercizio dei diritti di cittadinanza senza la necessità di dovere accedere a ulteriori intermediazioni, quindi liberazione da tutti quei vincoli, che talora (o troppo spesso) vanno al di là del lecito, e che ne ostacolano la piena realizzazione. Normalità significa anche superamento della condizione di specificità o di emergenza che, proprio per fare riferimento ai diritti di cui si diceva sopra, porta a designare come eccezionale quel che dovrebbe essere ordinario. Parlare di normalità e fissare i paletti di cui abbiamo detto, non significa però che la guida di questa città possa essere affidata a chiunque. Sarebbe oltremodo grave che il basso profilo, di cui ad esempio sono portatori molti dei candidati attualmente in lizza, potesse essere il grimaldello per spalancare loro la porta di palazzo delle Aquile. Una situazione simile infatti non ci appassiona più di tanto.
Per costruire normalità è necessario che si individuino risorse disponibili d’alto profilo, non solo dotate di quella coscienza etica che li porti a volgere l’azione politica in funzione del bene comune ma anche dotate di quella competenza amministrativa necessaria ad affrontare problemi di difficile soluzione. Per costruire poi normalità bisogna dire tanti “no” ma, essere anche capaci di avere la disponibilità a mediare fra interessi spesso in conflitto, e il termine interesse non deve necessariamente essere associato a qualcosa di negativo come spesso lo si fa, senza l’arrocco pregiudiziale sul quale fanno aggio visioni ideologiche pregiudiziali. Si costruisce normalità avendo visioni progettuali in grado di rappresentare ai cittadini, che sono poi i destinatari delle scelte, percorsi di vita ordinari. Insisto sulla battuta “avere un’idea di città”, non solo “città dell’uomo a misura d’uomo” per ricordare Giuseppe Lazzati, il che significa comprendere quale ruolo, nel caso in specie, debba avere Palermo nel contesto nazionale, un’idea che i cittadini possano sposare sapendo che sulla stessa si gioca il loro futuro.
In questo senso appare chiaro che non si costruisce normalità se la guida della città dovesse essere affidata a chi si avvita solo nella ripetizione di luoghi comuni o a chi pensa che tutto si possa risolvere con i soliti refrain populistici e inconcludenti.
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